[25]Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?[26]Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? [27]E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? [28]E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. [29]Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. [30]Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? [31]Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? [32]Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. [33]Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. [34]Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Nel 1977 avevo 31 anni. Ero stato ordinato prete cinque anni prima ed ero direttore spirituale al seminario Pime di Maryglade a Detroit, nel Michigan (USA). I superiori mi avevano chiesto di guidare per l'anno della spiritualità i seminaristi che, completati gli studi, si preparavano alla promessa iniziale di aggregazione al Pime. Per prepararmi all'incarico, chiesi al superiore regionale degli USA il permesso di ritirarmi per un mese ignaziano presso il Centro Colombiere in Michigan. Dopo i primi dieci giorni di ritiro, il direttore mi disse: <<Adriano, tu non hai ancora iniziato il tuo ritiro. Pensi a scrivere testi e istruzioni per i seminaristi che guiderai nell'anno di spiritualità, ma non stai riflettendo sul tuo rapporto con Gesù>>.
Nei giorni seguenti mi sforzai di vedere che tipo di rapporto avevo con Gesù, ma sentivo di non averne nessuno. Mi sembrava di essere in una stanza con le pareti di vetro. Vedevo Gesù che guariva, perdonava, insegnava alla gente, provava amore e compassione per la prostituta, per Zaccheo, per Pietro, il buon ladrone, ma non avevo alcun tipo di contatto diretto con lui. Andò avanti così per vari giorni, finché non fui seriamente preoccupato per la mia mancanza di sentimenti verso Gesù e per la mia incapacità di provare qualcosa per Lui. Giunsi alla conclusione che non avevo mai veramente conosciuto Gesù.
Mi sembrava di impazzire...
Urlavo nei boschi che circondavano il centro ritiri: <<Non conosco Gesù, non l'ho mai conosciuto...Come è possibile? Sono nato in una famiglia cattolica, sono entrato in seminario quando avevo 11 anni, mi sono sempre comportato bene, sono stato amato dai superiori e da tanta gente. Ho predicato su Gesù. Ho celebrato la Messa tutti i giorni...>>. Poi mi misi a pregare: <<Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla>>, ma mi accorsi che il mio cuore non credeva a quello che dicevano le mie labbra. Confidai quei sentimenti al mio direttore e lui mi rispose: <<Anche san Paolo non credeva in Gesù, ma poi si convertì a lui>>. Ciò mi rese ancora più disperato: <<Sono forse un fariseo?>>. Contemporaneamente mi tornarono in mente tutti i peccati della mia vita, sconvolgendomi. Era come se non fossi mai stato perdonato anche se ero andato a confessarmi.
Era il ventiduesimo giorno di ritiro quando meditavo su tutti questi angoscianti pensieri. Mi trovavo nel bosco quando all'improvviso il cielo divenne scuro, e fu presto squarciato da lampi e forti tuoni. Cominciò a cadere la pioggia. Corsi in casa, entrai nella cappellina, mi sedetti per terra e mi addormentai. Fui risvegliato da una luce intensa e da una voce forte che mi diceva: <<Ti amo>>. Mi svegliai e chiesi: <<E i miei peccati?>>. La voce mi rispose immediatamente: <<Ti amo con tutti i tuoi peccati>>. Ero confuso, sorpreso e felice al tempo stesso, anche se lì per lì non capii il significato dell'accaduto.
Pietro è venuto a Roma! Cosa lo ha guidato e condotto a questa Urbe,
cuore dell’Impero Romano, se non l’obbedienza all’ispirazione ricevuta dal
Signore? Forse questo pescatore di Galilea non avrebbe voluto venire fin qui.
Forse avrebbe preferito restare là, sulle rive del lago di Genesareth, con la
sua barca, con le sue reti. Ma, guidato dal Signore, obbediente alla sua
ispirazione, è giunto qui!
Secondo un’antica tradizione, durante la persecuzione di Nerone, Pietro
voleva abbandonare Roma. Ma il Signore è intervenuto: gli è andato incontro.
Pietro si rivolse a lui chiedendo: «Quo vadis, Domine?» (Dove vai, Signore?). E
il Signore gli rispose subito: «Vado a Roma per essere crocifisso per la
seconda volta». Pietro tornò a Roma ed è rimasto qui fino alla sua
crocifissione.
Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore
e ad immergerci in una umile e devota meditazione del mistero della suprema
potestà dello stesso Cristo.
Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname – come si
riteneva –, il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per
fare di tutti noi «un regno di sacerdoti».
Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e
il fatto che la missione di Cristo – Sacerdote, Profeta-Maestro, Re – continua
nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice
missione. E forse in passato si deponeva sul capo del Papa il triregno, quella
triplice corona, per esprimere, attraverso tale simbolo, che tutto l’ordine
gerarchico della Chiesa di Cristo, tutta la sua «sacra potestà» in essa
esercitata non è altro che il servizio, servizio che ha per scopo una sola
cosa: che tutto il Popolo di Dio sia partecipe di questa triplice missione di
Cristo e rimanga sempre sotto la potestà del Signore, la quale trae le sue
origini non dalle potenze di questo mondo, ma dal Padre celeste e dal mistero
della Croce e della Risurrezione.
La potestà assoluta e pure dolce e soave del Signore risponde a tutto
il profondo dell’uomo, alle sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà,
di cuore. Essa non parla con un linguaggio di forza, ma si esprime nella carità
e nella verità.
Il nuovo Successore di Pietro nella Sede di Roma eleva oggi una
fervente, umile, fiduciosa preghiera: «O Cristo! Fa’ che io possa diventare ed
essere servitore della tua unica potestà! Servitore della tua dolce potestà!
Servitore della tua potestà che non conosce il tramonto! Fa’ che io possa essere
un servo! Anzi, servo dei tuoi servi».
Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare
la sua potestà!
Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà
di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera!
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua
salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come
quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate
paura! Cristo sa «cosa è dentro l’uomo». Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del
suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su
questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete,
quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di
parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.
Dall’Omelia per l’inizio del pontificato
del beato Giovanni Paolo II, 22 ottobre 1978.
Chiara Corbella 28 anni, si è spenta mercoledì 13 giugno, a mezzogiorno. Aveva conosciuto Enrico Petrillo a Medjugorje, e si sono presto sposati. In seguito, sono riusciti a superare sofferenze inaudite grazie a un radicato senso di Fede in Dio. Chiara, una ragazza bellissima e radiosa, si racconta in un video di due anni fa: ha una voce ferma, sicura, tremante d'emozione a tratti, ma sembra sapere qualcosa che ai più non è concesso. Rimasta incinta, scopre che la bambina è affetta da una grave forma di anencefalia. Deve dire al marito, ricoverato in ospedale, che la loro bambina non ha speranze di vivere dopo la nascita. Chiara confessa: "Non sapevo come dirlo a mio marito. Ho passato una notte terribile, e ho detto: <<Signore, mi vuoi donare questa cosa, ma perché non me l'hai fatto scoprire insieme a mio marito? Perché mi chiedi di dirglielo?>>. A quel punto ho pensato alla Madonna, che anche a lei il Signore aveva donato un figlio e gli aveva chiesto di annunciarlo a suo marito. Anche a lei il Signore aveva donato un figlio che non era per lei, che sarebbe morto e lei avrebbe dovuto vedere morire sotto la croce. Questa cosa mi ha fatto riflettere sul fatto che forse non potevo pretendere di capire tutto e subito, e forse il Signore aveva un progetto che io non riuscivo a comprendere. Ma già avviene il primo miracolo: il momento in cui lo dico a Enrico è stato un momento indimenticabile. Mi ha abbracciato e mi ha detto: <<E' nostra figlia e la terremo così com'è!>>. Nonostante tutto è stata una gravidanza stupenda, in cui abbiamo potuto apprezzare ogni singolo giorno, ogni piccolo calcio di Maria è stato un dono. Il momento in cui l'ho vista è un momento che non dimenticherò mai. Ho capito che eravamo legati per la vita. L'abbiamo battezzata, ed è stato il dono più grande che il Signore potesse farci. La piccola Maria nasce e muore dopo mezz'ora. Chiara ricorda il momento in cui Maria viene alla luce e spiega: "Se avessi abortito, non penso che avrei ricordato quel giorno come giorno di festa. Invece ricordo la gioia di quel giorno quando è nata". La gioia della maternità pensa di conservarla tutta la vita. E aggiunge: "Alle mamme vorrei dire che conta il fatto di aver avuto il dono del figlio, non il tempo che ci è riservato di stare con lui".
In seguito Chiara rimane ancora incinta, il bimbo si chiamerà Davide, anche lui è affetto da gravissime malformazioni che gli rendono impossibile la vita dopo la nascita ma, ancora una volta, la coppia decide di portare avanti la gravidanza.
Arriva la terza gravidanza, Francesco, che risulta essere un feto senza complicazioni. Al quinto mese di gestazione Chiara scopre di avere un carcinoma alla lingua e rifiuta i cicli di chemio e radio terapia perché non ha come priorità la sua vita ma quella di Francesco e non ha dubbi: non spetta a lei decidere poiché solo a Dio è concesso, così, come ha deciso per Maria e Davide, così farà per Francesco e aspetterà la fine della gestazione per curarsi. Francesco nasce sano e bello il 30 maggio 2011. Chiara, dopo la diagnosi medica del 4 aprile che la dichiarava "malata terminale", ha chiesto a Dio non il miracolo della guarigione, ma di farle vivere questi drammatici momenti di malattia e sofferenza nella pace sua e delle persone a lei più vicine. Per questo poco prima di morire Chiara aveva affrontato un viaggio a Medjugorje, invitando anche le famiglie degli amici. Era stata una grande fatica per lei, ormai molto malata, ma finalizzata ad aiutare gli altri ad accettare il dolore, a capire ai piedi della Madonna il senso della vita qui su questa terra. Nella lettera lasciata a suo figlio e letta dal marito Enrico, Chiara ha scritto: "Vado in cielo ad occuparmi di Maria e Davide, e tu rimani con il papà. Io dal cielo prego per voi". E confida al marito: "forse la guarigione in fondo non la voglio: un marito felice e un bambino sereno senza la mamma rappresentano una testimonianza pi grande rispetto ad una donna che ha superato una malattia. E' una testimonianza che potrebbe salvare tante persone...". Al suo confessore, manda un SMS, l'ultimo: "Siamo con la lanterna accesa in attesa dello Sposo".
Così Chiara andava preparando il suo incontro con Cristo.
Una breve parte del dialogo tra Andrey Petrovic (Versilov) e il figlio Arkadij Makarovic, nella parte finale de "L'adolescente", penultimo romanzo dello scrittore russo, pubblicato nel 1875. Considerazioni e ripensamenti dopo la "morte di Dio".
<<Mi immagino, mio caro>> cominciò con un sorriso pensieroso <<che la battaglia sia già finita e la lotta si sia calmata. Dopo le maledizioni, le zolle di fango e i fischi è cominciato il silenzio, e gli uomini sono rimasti soli come desideravano: la grande idea di prima li ha lasciati; quella grande sorgente di forze che li ha nutriti e scaldati fino ad allora è sparita, come quel grandioso sole al tramonto nel quadro di Claude Lorrain, ma è già come se fosse l'ultimo giorno dell'umanità. E gli uomini a un tratto capiscono di essere rimasti assolutamente soli e di colpo sentono una grande povertà. Mio caro ragazzo, io non sono mai riuscito a immaginare gli uomini ingrati e istupiditi. Gli uomini rimasti orfani prenderebbero subito a stringersi l'un l'altro con più forza e amore; si afferrerebbero per la mano, comprendendo di esser rimasti soli l'uno per l'altro. La grande idea di immortalità, in tutti si rivolgerebbe verso la natura, verso il mondo, verso la gente, verso ogni erbetta. Prenderebbero ad amare la terra e la vita irresistibilmente e nella misura in cui si renderanno gradualmente conto della propria transitorietà e caducità, e di un amore particolare, diverso dal precedente. Si metterebbero a osservare e scoprirebbero nella natura fenomeni tali e tali segreti che prima non avevano neppure supposto, giacché guarderebbero la natura con nuovi occhi, con lo sguardo dell'innamorato verso l'amata. Svegliandosi correrebbero a baciarsi l'un l'altro, affrettandosi ad amare, coscienti che i giorni sono brevi e che ciò è tutto quel che rimane loro. Lavorerebbero l'uno per l'altro, e ognuno darebbe a tutti il suo, e sarebbe felice solo di questo. Ogni bambino saprebbe e sentirebbe che ciascuno sulla terra è per lui come un padre e una madre. "Sia pure domani il mio ultimo giorno" penserebbe ciascuno guardando il sole al tramonto "fa lo stesso: morirò io, ma rimarranno tutti loro, e dopo di loro i loro figli", e questo pensiero, che rimarranno gli altri a continuare ad amarsi e a trepidare l'uno per l'altro, sostituirebbe quello dell'incontro dopo la morte. Oh, si affretterebbero ad amare per soffocare la grande tristezza dei loro cuori. Sarebbero orgogliosi e audaci per se stessi, ma diventerebbero timorosi l'uno dell'altro; ognuno trepiderebbe per la vita e la felicità dell'altro. Diventerebbero dolci l'uno con l'altro, senza vergognarsene, come ora, e si accarezzerebbero l'un l'altro come bambini. Incontrandosi si guarderebbero l'un l'altro con uno sguardo profondo e comprensivo, e nei loro sguardi ci sarebbe amore e tristezza...
<<Mio caro>> si interruppe a un tratto con un sorriso <<tutto questo è una fantasia, addirittura assai inverosimile; ma io me la sono immaginata ormai troppo spesso, perché per tutta la vita non ho mai potuto vivere senza di essa, e non pensarci. Non parlo della mia fede: la mia fede non è grande, sono un deista, un deista filosofico, come tutti noi mille, suppongo ma... ma è notevole che finissi sempre il mio quadretto con una visione come quella di Heine, di "Cristo sul mar Baltico". Io non posso farne a meno, non posso figurarmelo, infine, in mezzo agli uomini rimasti orfani. Si avvicina a loro, tende loro le mani e dice: "Come avete potuto dimenticarlo?". E qui è come se dagli occhi di tutti cadesse un velo e si leva il grande inno trionfale di una nuova e ultima resurrezione...>>
Fedor Dostoevskij, L'adolescente, Mondadori. pp. 549-550
Da quel momento fu come se diffidassi di Gesù. In un colloquio mattutino dissi a Gesù: "Gesù non sei per caso un'illusione?". Gesù mi rispose: "Il mio amore non delude nessuno".
Un
giorno, presso la Porziuncola, Francesco chiama frate Leone.
Questi
risponde: «Ti ascolto, e sono pronto».
«Scrivi»,
egli disse, «cosa sia la vera letizia. Viene un messaggero e dice che tutti i
dotti dell’Università di Parigi sono entrati nella nostra comunità. Scrivi: in
questo non si trova vera letizia!
Allo
stesso modo, che tutti Prelati al di là delle Alpi, i vescovi e gli arcivescovi
in Francia e in Germania si associano a noi! E così il Re di Francia e il Re d’Inghilterra!
Scrivi: ciò non sarebbe la vera letizia!
Allo
stesso modo, che i miei frati sono andati dagli infedeli e li hanno tutti
convertiti alla fede e che io ho ricevuto da Dio una così grande grazia, che
sano i malati e opero miracoli. Io ti dico che in tutto ciò non c’è la vera
letizia!».
«Ma
che cosa è la vera letizia?».
«Io
ritorno da Perugia e vengo qui in piena notte, nella stagione invernale,
sporco, con il saio ghiacciato e le tibie sanguinanti, e devo a lungo picchiare
alla porta nel fango, nel freddo e nel ghiaccio, finché non arrivi un frate. Dopo
che mi è stato richiesto il nome, io vengo, poi, trattato scortesemente e
lasciato fuori nell’oscurità con le parole: “Va’ via, tu sei un sempliciotto e
un illetterato. Noi siamo così numerosi e tali che non abbiamo bisogno di te”. Io
busso nuovamente, egli mi spedisce all’Ospedale dei Cruciferi.
Io
ti dico che se non perdo la pazienza e
non divento aggressivo, in ciò si trova la vera letizia, l’autentica virtù e la
salvezza dell’anima».
Fonti
Francescane 278, in
N. Kuster, Francesco d’Assisi maestro di spiritualità,
Padova, 2004.
*
dalla Lettera
di san Giacomo apostolo (1, 2-4). “Considerate perfetta letizia, miei fratelli,
quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede
produce la pazienza. E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate
perfetti e integri, senza mancare di nulla”.
Dimorando una volta santo Francesco nel luogo della Porziuncola con frate Masseo da Marignano, uomo di grande santità, discrezione e grazia nel parlare di Dio, per la qual cosa santo Francesco molto l'amava; uno dì tornando santo Francesco dalla selva e dalla orazione, e sendo allo uscire della selva, il detto frate Masseo volle provare sì com'egli fusse umile, e fecieglisi incontra, e quasi proverbiando disse: "Perché a te, perché a te, perché a te?". Santo Francesco risponde: "Che è quello che tu vuoi dire?". Disse frate Masseo: "Dico, perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d'udirti e d'ubbidirti? Tu non se' bello uomo del corpo, tu non se' di grande scienza, tu non se' nobile onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?". Udendo questo santo Francesco, tutto rallegrato in ispirito, rizzando la faccia al cielo, per grande spazio istette colla mente levata in Dio, e poi ritornando in sé, s'inginocchiò e rendette laude e grazia a Dio, e poi con grande fervore di spirito si rivolse a frate Masseo e disse: "Vuoi sapere perché a me? vuoi sapere perché a me? vuoi sapere perché a me tutto 'l mondo mi venga dietro? Questo io ho da quelli occhi dello altissimo Iddio, li quali in ogni luogo contemplano i buoni e li rei: imperciò che quelli occhi santissimi non hanno veduto fra li peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di me; e però a fare quell'operazione maravigliosa, la quale egli intende di fare, non ha trovato più vile creatura sopra la terra, e perciò ha eletto me per confondere la nobilità e la grandigia e la fortezza e bellezza e sapienza del mondo, acciò che si conosca ch'ogni virtù e ogni bene è da lui, e non dalla creatura, e nessuna persona si possa gloriare nel cospetto suo; ma chi si gloria, si glorii nel Signore, a cui è ogni onore e gloria in eterno". Allora frate Masseo a così umile risposta, detta con fervore, sì si spaventò e conobbe certamente che santo Francesco era veramente fondato in umiltà.
A laude di Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Dimorava allora il beato Francesco nel palazzo del vescovo di Assisi, e prego i frati di trasportarlo in fretta alla Porziuncola, poiché voleva rendere l'anima a Dio là dove per la prima volta conobbe la via della verità.
I pochi giorni che mancavano alla sua morte li passò in inni di lode, invitando i compagni diletti a cantare con lui le lodi di Cristo. Chiamava tutte le creature a lodare Dio, esortandole al divino amore. Perfino la morte, a tutti terribile e odiosa, esortava a lodare il Signore, correndole incontro e accogliendola come ospite gradita. "Ben venga - diceva - la mia sorella morte".
Dopo pochi giorni che si trovava nel luogo tanto desiderato, avvedendosi che la morte incalzava, chiamò a sé due frati e figlioli suoi prediletti e comandò loro di cantare ad alta voce, con giubilo di spirito, lodi al Signore per la morte vicina, anzi per l'approssimarsi della vera vita.
Su tutti i frati, che intanto si erano posti a sedere intorno a lui, stese poi le mani con le braccia disposte a forma di croce - il segno che tanto amava - e tutti, presenti e assenti, benedisse nella potenza e nel nome di Cristo crocifisso.
Poi aggiunse: "Figli miei, restate tutti saldi nel santo timore di Dio e perseverate sempre in esso. Poiché le tribolazioni e le Tentazioni verranno; beati però saranno coloro che persevereranno in questa via nella quale si sono incamminati.Io mi affretto a tornare a Dio, alla cui bontà vi raccomando tutti".
Finita questa dolce esortazione, quest'uomo carissimo a Dio si fece portare il libro dei Vangeli e chiese che gli si leggesse quel tratto del vangelo di San Giovanni che comincia con le parole: "Prima della festa di Pasqua".
Poi Francesco cominciò a recitare forte, per quanto gli era possibile, le parole del salmo "Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce al Signore grido aiuto", e continuò così sino alla fine, concludendo: "I giusti mi faranno corona, quando mi concederai la tua grazia".
Poi si rivolse al medico: "Coraggio, frate medico, dimmi pure che la morte è imminente: per me sarà la porta della vita!". E ai frati: "Quando mi vedrete ridotto all'estremo, deponetemi nudo sulla terra come mi avete visto ieri l'altro, e dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo necessario a percorrere comodamente un miglio".
E mentre molti frati dei quali era padre e guida, ivi raccolti con riverenza aspettavano il beato passaggio e la benedetta fine, quella santissima anima si sciolse dalla carne, per essere assorta nell'abisso di eterna luce, e il corpo si addormentò nel Signore.
Si radunò allora una moltitudine di gente che lodava Dio, dicendo: "Lodato e benedetto sii tu, Signore Iddio nostro, che a noi indegni hai affidato un sì prezioso tesoro, lode e gloria a te, Trinità ineffabile!".
"Tu mi fai pensare a un bambino che sa appena stare in piedi, ma non è ancora in grado di camminare. Egli vuole ad ogni costo raggiungere la mamma che si trova in cima ad una scala e solleva il piccolo piede per salire il primo gradino. Ma inutilmente! Ogni volta ricade e non riesce ad avanzare. Ebbene sii come questo bambino; con la pratica di tutte le virtù, solleva sempre il tuo piede incerto per salire la scala della santità, ma non pensare di poter superare neppure il primo gradino! Non ci riuscirai. Ma il buon Dio non ti chiede che la buona volontà. Dall'alto di quella scala, egli ti guarda con amore. Presto, vinto dai tuoi sforzi inutili, scenderà egli stesso e, prendendoti fra le braccia, ti porterà per sempre nel suo regno dove rimarrai con lui, per sempre..."