sabato 30 marzo 2013

Scelgo gli occhi degli uomini

"Figlio, quando Tu partirai, crescente abisso eterno
nel quale scorsi ogni cosa
Padre, l'Amore significa necessità
di una crescita di gloria.

Figlio, guarda, non lontano dal Tuo chiarore
graniscono le spighe mature
E verrà un giorno in cui Ti toglieranno il fulgore,
in cui alla terra cederò la Tua luce.

Padre, guarda, non lontano dal mio amore
è il mio sguardo
e in esso avvolgo da secoli
quel giorno turgido nel suo verdeggiare.

Le Tue mani toglieranno dalle mie spalle
- Figlio, vedi questo annientamento,
il Tuo bagliore, quando verrà il giorno,
darò alle spighe della terra il turgore.

Padre, le mani staccate dalle Tue spalle
le salderò a un legno spogliato di verde,
e intriderò d'un pallore di grano
questa luce che muterai in spighe.

Figlio, quando partirai, eterno Amore,
della più intima corrente chi mai t'inonderà?

Padre, lascio il Tuo sguardo che s'empie di un'onda di sole,
scelgo gli occhi degli uomini
scelgo gli occhi delgi uomini, colmi d'una luce di grano.
[...]
Quando creavi i miei poveri occhi
e recavi l’abisso sulla Tua palma aperta,
pensavi a quello sguardo eterno
affascinato dall’abisso

e dicevi:
       Mi abbasserò, fratello
mi abbasserò, non lascerò mai soli i tuoi occhi,
e mi nasconderò dapprima nella croce,
poi, come il pane, nel grano maturo.

Allora penso:
       Ti abbassi così
perché nel cosmo non restino sole
le mie spalle lontane dalla croce
e i miei occhi pieni di nostalgia. 

Se l'amore tanto più è grande quanto più è semplice,

se il desiderio più semplice sta nella nostalgia
allora non è strano che Dio voglia 
essere accolto dai semplici
da quelli che hanno candido il cuore
e per il loro amore non trovano parole."

(Karol Wojtyla, dal "Canto del Dio Nascosto")

Sabato Santo


M.I. Rupnik,
Chiesa delle Suore Orsoline
Figlie di Maria Immacolata
Verona - Italia
La Morte aveva finito il suo beffardo discorso
e la voce di nostro Signore risuonò
fragorosamente nello Sheol,
aprendo ogni tomba una per una.
Terribili spasimi afferrarono la Morte nello Sheol;
dove la luce non era mai stata,
raggi brillarono dagli angeli che erano entrati
per far uscire i morti a incontrare
il Morto che ha dato vita a tutto.
La morte di Gesù è un tormento per me
(dice la Morte),
vorrei averlo lasciato vivo:
sarebbe stato meglio per me che la sua morte.
Qui c’è un morto la cui morte trovo detestabile;
alla morte di ogni altro io gioisco,
ma la sua morte mi tormenta,
e aspetto che torni alla vita:
durante la sua vita egli ha fatto rivivere
e portato di nuovo alla vita tre morti.
Ora attraverso la sua morte
i morti che sono venuti di nuovo alla vita
mi calpestano alle porte dello Sheol
quando vado per trattenerli.
Correrò e chiuderò le porte dello Sheol
davanti a questo Morto
la cui morte mi ha rapinato.
Chi sentirà ciò si meraviglierà della mia umiliazione,
perché sono stata sconfitta da un Morto
venuto da fuori:
tutti i morti vogliono andare fuori,
e lui insiste per entrare.
Un farmaco di vita è entrato nello Sheol
e ha riportato i suoi morti indietro alla vita.


Sant’Efrem il Siro, Inni sulla Risurrezione, n.  36, 11.13.14, Lipa 1999

venerdì 29 marzo 2013

Lei che, come un Sole, dissipa le tenebre dei nostri intrighi


Mentre predicava il Rosario nelle vicinanze di Carcassonne, a san Domenico fu presentato un eretico albigese posseduto dal demonio. Il santo, davanti a una folla che si ritiene composta di oltre dodicimila persone, lo esorcizzò, e i demoni che tenevano in dominio quel miserabile, furono costretti, loro malgrado, a rispondere alle domande dell'esorcista. E confessarono 
1) che nel corpo di costui erano in quindicimila perché egli aveva osato combattere i quindici misteri del Rosario; 
2) che san Domenico col suo Rosario terrorizzava tutto l'inferno e che essi stessi odiavano lui più di qualsiasi altra persona perché con questa devozione del Rosario strappava loro le anime;
3) rivelarono inoltre parecchi altri particolari.
San Domenico allora gettò la sua corona al collo dell'ossesso e chiese ai demoni chi mai fra tutti i santi del cielo essi temessero di più e chi, a parere loro, meritasse più amore e onore da parte degli uomini. A tale domanda gli spiriti infernali levarono alte grida sì che la maggior parte dei presenti stramazzarono a terra per lo spavento. Poi quei maligni, per non rispondere direttamente alla domanda, cominciarono a piangere e a lamentarsi in modo così pietoso e commovente che parecchi fra gli astanti furono presi da una naturale pietà. Per bocca dell'ossesso e con voce piagnucolosa così dicevano: «Domenico, Domenico, abbi pietà di noi e promettiamo di non nuocerti mai. Tu che tanta compassione hai per i peccatori e per i miserabili, abbi pietà di noi meschini. Oh! soffriamo già tanto, perché ti compiaci di aumentare le nostre pene? Contentati di quelle che ci tormentano. Misericordia! misericordia! misericordia!».
Impassibile davanti ai piagnistei di quegli spiriti, il santo rispose che non avrebbe smesso di tormentarli finché non avessero risposto alla sua domanda. Ed essi replicarono che avrebbero dato la risposta, ma in segreto, all'orecchio e non di fronte a tutti. Domenico tenne duro e comandò che parlassero ad alta voce; ma ogni sua insistenza fu inutile e i demoni si chiusero nel silenzio. Allora il santo si pose in ginocchio e pregò la Madonna: «Vergine potentissima, Maria, in virtù del tuo Rosario comanda a questi nemici del genere umano di rispondere alla mia domanda». Immediatamente dopo questa invocazione, una fiamma ardente uscì dalle orecchie, dalle narici e dalla bocca dell'ossesso; i presenti tremarono dalla paura ma nessuno ne subì danno. E si udirono le grida di quegli spiriti: «Domenico, noi ti preghiamo per la passione di Cristo e per i meriti della sua santa Madre e dei santi: Permettici di uscire da questo corpo senza dir nulla. Gli angeli, quando tu vorrai, te lo riveleranno. Del resto, perché vuoi credere a noi? Non siamo forse dei bugiardi? Non tormentarci oltre, abbi pietà di noi».
«Disgraziati che voi siete, indegni di essere esauditi» — riprese san Domenico, e sempre in ginocchio pregò di nuovo la Vergine santa: «O degnissima Madre della Sapienza, ti supplico per il popolo qui presente che ha già appreso a recitare come si deve il Saluto angelico, obbliga questi tuoi nemici a proclamare in pubblico la verità piena e chiara sul Rosario».
Finita la preghiera vide accanto a sé la Vergine Maria, circondata da una moltitudine di angeli, che con una verga d'oro colpiva l'ossesso e gli diceva: «Rispondi al mio servo Domenico conforme alla sua richiesta». Da notare che nessuno udiva né vedeva la Madonna all'infuori di san Domenico.
A tale comando i demoni presero a urlare:
«O inimica nostra, o nostra damnatrix, o nostra inimica, o nostra damnatrix, o confusio nostra, quare de coelo descendisti, ut nos hic ita torqueres? Per te quae infernum evacuas et pro peccatoribus tanquam potens advocata exoras; o Via coeli certissima et securissima, cogimur sine mora et intermissione ulla, nobis quamvis invitis, et contra nitentibus, totam rei proferre veritatem. Nunc declarandum nobis est simulque publicandum ipsum medium et modus quo ipsimet confundamur, unde vae et maledictio in aeternum nostris tenebrarum principibus.
Audite igitur vos, christiani. Haec Christi Mater potentissima est in praeservandis suis servis quominus praecipites ruant in baratrum nostrum inferni. Illa est quae dissipat et enervat, ut sol, tenebras omnium machinarum et astutiarum nostrarum, detegit omnes fallacias nostras et ad nihilum redigit omnes nostras tentationes. Coactique fatemur neminem nobiscum damnari qui eius sancto cultui et pio obsequio devotus perseverat. Unicum ipsius suspirium, ab ipsa et per ipsam sanctissimae Trinitati oblatum, superat et excedit omnium sanctorum preces, atque pium et sanctum eorum votum et desiderium, magisque eum formidamus quam omnes paradisi sanctos; nec contra fideles eius famulos quidquam praevalere possumus.
Notum sit etiam vobis plurimos christianos in hora mortis ipsam invocantes contra nostra iura salvari, et nisi Marietta illa obstitisset nostrosque conatus repressisset, a longo iam tempore totam Ecclesiam exterminassemus, nam saepissime universos Ecclesiae status et ordines a fide deficere fecissemus. Imo planius et plenius vi et necessitate compulsi, adhuc vobis dicimus, nullum in exercitio Rosarii sive psalterii eius perseverantem aeternos inferni subire cruciatus. Ipsa enim devotis servis suis veram impetrat contritionem qua fit ut peccata sua confiteantur, et eorum indulgentiam a Deo consequantur».
«O nostra nemica, o nostra rovina, o nostra confusione, perché sei venuta dal cielo apposta per tormentarci così fortemente? O avvocata dei peccatori che ritrai dall'inferno, o via sicurissima del paradiso, siamo noi proprio obbligati, a nostro dispetto, a dire tutta la verità? Dobbiamo proprio confessare davanti a tutti ciò che sarà causa della nostra confusione e della nostra rovina? Maledizione a noi, maledizione ai nostri principi delle tenebre.
Ascoltate, dunque, cristiani. Questa Madre di Cristo è onnipotente per impedire che i suoi servi cadano nell'inferno; è lei che, come un sole, dissipa le tenebre dei nostri intrighi e astuzie; è lei che sventa le nostre mene, disfa i nostri tranelli e rende tutte le nostre tentazioni vane e inefficaci. Siamo costretti a confessare che nessuno di quanti perseverano nel suo servizio è dannato con noi. Uno solo dei sospiri ch'ella offra alla SS. Trinità vale più di tutte le preghiere, i voti e i desideri di tutti i santi. Noi la temiamo più di tutti i beati insieme e nulla possiamo contro i suoi fedeli servi.
Vi sia anche noto che molti cristiani che l'invocano nell'ora della morte, che dovrebbero essere dannati secondo le nostre leggi ordinarie, si salvano per sua intercessione. Ah! se questa Marietta — così la chiamavano per rabbia — non si fosse opposta ai nostri disegni e ai nostri sforzi, già da molto tempo noi avremmo rovesciato e distrutto la Chiesa e fatto cadere nell'errore e nell'infedeltà tutti i suoi ordini. Proclamiamo, inoltre, costretti dalla violenza che ci viene usata, che nessuno di quanti perseverano nella recita del Rosario è dannato; perché ella ottiene ai suoi servi devoti una sincera contrizione dei loro peccati per mezzo della quale essi ne ottengono il perdono e l'indulgenza».
Ottenuta questa confessione san Domenico fece recitare il Rosario dagli astanti, adagio e con devozione. Ed ecco una cosa sorprendente! Ad ogni Ave Maria recitata dal santo e dal popolo usciva dal corpo di quell'ossesso una moltitudine di demoni in forma di carboni ardenti. Quando l'infelice ne fu completamente libero, la Vergine santa, sempre non vista, benedisse il popolo e tutti avvertirono una sensibile e vivissima gioia. Questo miracolo causò la conversione e l'iscrizione alla Confraternita del Rosario di molti eretici.

domenica 24 marzo 2013

METRO MILANO

"Si costruisce una mappa personale, disegnata dal flusso delle abitudini ma anche dei gusti, delle inclinazioni. Si scelgono i pezzi della città da cucire insieme, i quartieri, gli edifici, i monumenti, le strade. Poco alla volta si individua il codice o l'alfabeto secondo i quali vive e dorme quella città [...]. Le impara l'occhio, prima del pensiero. C'è una rassicurazione nel camminare [...]. Per quanto sia irregolare il moto lo sguardo è sempre avanti. [...] Faceva freddo, aveva nevicato da poco. C'erano ovunque cumuli di sporca neve ghiacciata nella mia prima mattina a Milano."


sabato 23 marzo 2013

Il "Prête" à porter che cerchiamo in questa stagione non é il Vicario di Cristo


La mia devozione al Papa, non ad un Papa, credo sia fuori di dubbio. Premessa necessaria per evitare fraintendimenti di quello che sto per scrivere: speriamo che i “complimenti” al Papa finiscano presto. Papa buono, ecologista, animalista, povero, umile, fraterno, paterno, ecumenico, rispettoso dei non credenti, ah che bello seguirà San Francesco… Conio ufficialmente un neologismo: CattoFans.
Fioriscono gli aneddoti la cui attedibilità è tutta da dimostrare: ha offerto una sedia ed una merendina alla Guardia Svizzera che aveva piantonato tutta la notte la Sua camera da letto, dicendogli pure di bussare se avesse avuto bisogno. Non vuole il segretario, è piuttosto riottoso ad accettare di alloggiare nell’appartamento papale..va bene, abbiamo capito. Aspettiamo di sapere se preferisca una canadese a Castel Gandolfo e poi abbiamo finito... Non vorrei dimenticare un altro “must”: la Croce d’acciaio… É stato scritto e detto anche troppo.
Siamo abili a sottolineare gli aspetti più superficiali e scenografici di tutto ciò che ascoltiamo o vediamo. È facile, tanto, esaltare questo Papa per le Sue “caratteristiche” che a noi sembrano le più evidenti e quindi, come ci insegna la cultura dell’apparire, senza dubbio le più “significative”.
Cosa verrebbe logicamente di seguito? Che visto che il Papa ci piace tanto, ci uniformassimo al Suo stile. Ho scritto “stile", non vita…perché la vita del Papa è tutt’altra cosa. Ma, tranquilli, non ci adegueremo neppure allo stile...
Tutti gli aggettivi dedicati al Papa non sono altro che fumo colorato che si dissiperà prestissimo: nella migliore delle ipotesi è fumo, nella peggiore un tentativo di deviare l’attenzione da ben altro che il Papa esprime e, non ultimo, di fare inopportuni, irriverenti e cretini paragoni col Papa Emerito.
Il Papa è il Vicario di Cristo: ama Cristo e cerca di uniformarsi alla Sua Parola eterna ed alla Sua vita impareggiabile. Non servono aggettivi. Non è ecologista né animalista: ama il Creatore ed ogni Sua opera, che ci ha rammentato abbiamo il compito di custodire. Questo Papa non è buono, né povero: il Vicario di Cristo è buono e povero. Non è ecumenico, né rispettoso dei non credenti: Cristo è venuto per tutti ed ha esaudito la preghiera del centurione, additandolo ad esempio di fede ed il Papa segue quella Via.
Non è fraterno, né paterno, né umile: Cristo, il Figlio Unigenito dell’Altissimo, ha chiamato tutti fratelli ed amici. Si è chinato, prima che a lavare i piedi dei Suoi, sul mondo peccatore ed è venuto fra noi. Il Papa cerca di imitarLo.
Il Papa si ispira a Cristo, che ha costituito San Francesco come una stella di riferimento del Cattolicesimo, non a Francesco in quanto “Francesco”, che per primo si sarebbe schernito di quelle affermazioni.
"Il centro è Cristo”: questo ha proclamato con grande forza, anche fisicamente visibile, il Papa dalla Cappella Sistina… molto dopo ha accarezzato il cane.
Ma certo, è evidente: un conto è dire ah che bello, ama la povertà e non vuole l’anello d’oro (ai riciclatori a tutti i costi do una bella notizia: è quello di Papa Paolo VI…), ah come è umile, si è chinato di fronte al Popolo di Dio.. Tutto vero e tutto bello: il Papa ha già compiuto molti gesti storici, che ci hanno toccato il cuore e lo spirito e che resteranno nella memoria del mondo. 
Ma il Papa, prima di tutto, ha proclamato Cristo, ha venerato Maria Santissima, ha manifestato il Suo amore e la Sua deferenza per il Papa Emerito ed il Suo amore indefettibile per il popolo di Dio che é Chiesa Cattolica: di questo, non si sono entusiasmati in molti.
Uniformiamoci a Cristo e questa sarà l’opera nostra più gradita al Papa, diamoGli la gioia della nostra conversione…non i complimenti e le festanti considerazioni. 
Ai CattoFans ed anche ai non credenti, tutti affollati a battere le mani, consiglio di guardare Cristo e si stupiranno molto meno del Papa. Do loro appuntamento alla prima volta in cui il Papa “che cambierà la Chiesa” parlerà di valori non negoziabili: andate a leggere quello che ha già detto in passato, vi assicuro che non le manda a dire. Ed anche in quella “custodia del creato”, che vi ha tanto entusiasmato, al Papa preme innanzitutto la protezione e la dignità dell’Uomo… non del falco pellegrino. E la carità, non solo materiale, che promuoverà sarà per l’Uomo e non per le foche… neppure se “monache”.

lunedì 18 marzo 2013

Breve spiegazione del motto e dello stemma di papa Francesco.


Il Papa ha deciso di confermare il motto, “Miserando atque eligendo”, e nei tratti essenziali anche lo stemma che aveva come arcivescovo, caratterizzato da una lineare semplicità.
Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d'oro e d'argento, rilegate da un cordone rosso). In alto, campeggia l'emblema dell'ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero.
In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo. La stella, secondo l'antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.
Il motto di Papa Francesco, “Miserando atque eligendo”, è tratto dalle omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l'episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: "Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me" (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).
Questa omelia è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo. Essa riveste un significato particolare nella vita e nell'itinerario spirituale del Papa. Infatti, nella festa di San Matteo dell'anno 1953, il giovane Jorge Bergoglio sperimentò, all'età di 17 anni, in un modo del tutto particolare, la presenza amorosa di Dio nella sua vita. In seguito ad una confessione, si sentì toccare il cuore ed avvertì la discesa della misericordia di Dio, che con sguardo di tenero amore, lo chiamava alla vita religiosa, sull'esempio di Sant'Ignazio di Loyola.
Una volta eletto vescovo, mons. Bergoglio, in ricordo di tale avvenimento che segnò gli inizi della sua totale consacrazione a Dio nella Sua Chiesa, decise di scegliere, come motto e programma di vita, l'espressione di San Beda “Miserando atque eligendo”, che ha inteso riprodurre anche nel proprio stemma pontificio.
fonte: News.va/it

venerdì 15 marzo 2013

LA PRIMA OMELIA DI PAPA FRANCESCO


Cappella Sistina Giovedì, 14 marzo 2013


In queste tre Letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. 
Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento nell’edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare. 
Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore». 
[E questa è la prima cosa] che Dio ha detto ad Abramo: "Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile". 
Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va.
Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio richiedeva ad Abramo, nella sua promessa. 
Edificare. 
Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. 
Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. 
Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare. 
E terzo, confessare. 
Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. 
Diventeremmo una ONG pietosa, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. 
Quando non si cammina, [ci] si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, poi tutto viene giù, senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi viene [la frase] di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio. 
Camminare, edificare-costruire, confessare. 
Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro. 
Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. 
Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: "Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce."
E quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, tutti tutti... ma non discepoli del Signore. Io vorrei che tutti noi, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore che è versato sulla Croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso. 
E così la Chiesa andrà avanti. Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso. Così sia. 

© Copyright 2013 - Libreria Editrice Vaticana 

giovedì 14 marzo 2013

francesco d'assisi & vecchi luoghi comuni



 Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana, Edizioni Paoline, 1992, pp 164-167

PAPA FRANCESCO

« Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. Ed io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. » 
(Matteo 16, 17-19)

giovedì 7 marzo 2013

"SONO CRISTIANO, DUNQUE MATERIALISTA"


                        Il cristianesimo, bisogna farsene una ragione, ha a che fare con questo mondo. L’accusa alla Chiesa di occuparsi dei fatti del mondo è assurda, diceva il cardinale Newman, proprio perché la ragion d’essere della Chiesa è di «impicciarsi del mondo».




Non vorrei sorprendere Rina Gagliardi, che ieri da queste colonne criticava la Chiesa cattolica accusandola «di essere in preda a una sorta di “metafisica” di tipo materialistico», ma se uno mi accusa di essere cristiano non posso prendermela a male.

E mi spiego, anche se potrà sembrare un paradosso.

Non è la prima volta che si taccia la Chiesa di eccessivo “materialismo”, la si vorrebbe più “spirituale”. Ma l'alternativa è fasulla. Proprio perché crede nell’esistenza dello spirito, dell’anima, di qualcosa non afferrabile dai nostri sensi - di cui ritiene però ragionevole, anzi necessario, affermare l'esistenza per rendere conto in modo esauriente della realtà - proprio per questo il cristianesimo è sempre stato (e sempre sarà se vorrà conservare il suo nome) profondamente materialista. Noi cristiani conosciamo lo spirito in virtù del fatto che vediamo la materia, non siamo dualistici e meno che mai manichei. L’uno senza l’altra (spirito e materia) nella specie umana non sussistono. E non siamo neanche gnostici: il mondo, la materia, il corpo non sono frutto di una caduta. Anzi, il corpo è il “tempio dello spirito”, non ci viene naturale disprezzarlo. Siamo intrinsecamente portati a valorizzarlo. Senza idolatrarlo. Anche perché gli idoli “hanno occhi e non vedono; hanno orecchie e non sentono, hanno piedi e non camminano; hanno mani e non palpano”, sono cioè, a dispetto del loro aspetto, molto poco materialisti.

Dirò di più, la vera novità del cristianesimo non è lo spirito, ma la carne. Non è l’eternità, ma la storia, non la spiritualizzazione dell'uomo ma l'incarnazione, l’ingresso di Dio nel tempo e nello spazio con un corpo umano. Da qui deriva la valorizzazione del corpo, l’attenzione al corpo, la cura del corpo, anche di quello imperfetto, contro l’idealizzazione del corpo dalla forma perfetta che portava – essendo in ultima istanza un’idea spirituale – a scartare chi alla nascita presentava gravi malformazioni o a esiliare fuori dalle mura della città, e quindi del consesso civile, i lebbrosi. C'è una solennità nella Chiesa, l'assunzione di Maria in cielo (15 agosto), che significa esattamente questo.

È da questo amore per il corpo, che è sempre singolo, concreto, personale - san Francesco d’Assisi non ha amato l’umanità, ha amato le singole persone che incontrava - che sono nati gli ospedali e l’idea di cura anche per gli “incurabili”. Questa l’origine del nome di certi reparti ospedalieri, come si viene a sapere dalla storia di san Camillo de Lellis. Così è progredita la medicina. Vale la pena curare un corpo putrescente proprio perché la persona non è solo «tutto ciò che si configura come ammasso di cellule, di potenzialità biologiche future o passate, di materia organica» (Gagliardi), ma perché quell'“ammasso di cellule” è una persona.

Non voglio qui ripetere tutta la discussione sulla disponibilità della vita, sulla vita cosciente, sulla sua dignità… che si è sviluppata intorno alla persona di Eluana, ma solo tentare di spiegare il paradosso del “materialismo” della Chiesa, che va di pari passo con quello della sua “mondanità”.

Il cristianesimo, bisogna farsene una ragione, ha a che fare con questo mondo. L’accusa alla Chiesa di occuparsi dei fatti del mondo è assurda, diceva il cardinale Newman, proprio perché la ragion d’essere della Chiesa è di «impicciarsi del mondo». C’è un passo del Vangelo che parla del premio: «La vita eterna e il centuplo quaggiù», le due cose - come l’anima e il corpo - non sono separabili e non vedo quale persona psichicamente normale potrebbe trovare interessante una così esigente proposta di vita come il cristianesimo se della vita eterna (sulla quale possiamo solo fare congetture) non fosse dato qualche anticipo sotto forma di soddisfazione intellettuale e affettiva (cioè integralmente umana) già su questa terra, se cioè il cristianesimo non avesse qualcosa da dire sulla concretezza quotidiana dell’esistenza (il che non c'entra nulla col potere temporale della Chiesa che, per fortuna, è finito). Di spiritualismo e di superstizione è già abbastanza pieno il mondo moderno perché ci si aggiunga il nostro.

                             P.S. Due nota bene sugli esempi portati da Rina Gagliardi. Il primo su quando parla dell’aborto in termini di «alternativa tra la vita della madre e quella del nascituro (scelta drammatica che, almeno in occidente, per fortuna non si pone quasi più)». Cosa vuol dire che non è più una scelta? Che uno dei due soggetti in gioco non è passibile di preferenza? Secondo. «La Chiesa ammette il ricorso ai portati più sofisticati del progresso tecnico-scientifico, come nel caso di Eluana, li vieta quando si tratta di vincere la battaglia della sterilità». Ora, nel caso di Eluana, la sofistificazione tecnico-scientifica aveva l’aspetto di un sondino alimentatore. Quanto alla sterilità, chiamiamo le cose con il loro nome: le tecniche di fecondazione artificiale non sono una “cura” della sterilità, ma un’alternativa alla sterilità. Chi ricorra alla fecondazione eterologa non guarisce dall’infertilità, resta sterile, ma si è ugualmente procurato un figlio. Così come la selezione pre-impianto o l’aborto terapeutico non mettono in essere nessuna terapia; scelgono, cioè scartano: corpi e anime.

Ah, dimenticavo, la promessa finale è quella della resurrezione dei corpi.

Ubaldo Casotto, da Il Riformista, 2009

venerdì 1 marzo 2013

Come fai tu a vincere la repulsione?

<<Come fai tu a vincere la repulsione?>>. 
Egli mi rispondeva: <<In sostanza non dimenticare mai che se anche la casa è sordida tu ti avvicini a Cristo. Ricordati bene quello che ha detto il Signore: il bene che si fa ai poveri è bene fatto a me stesso>>.



Nella mia limitata vita di ogni giorno, mai ebbi modo di ricevere un'impressione tanto profonda come quella che mi viene dalla forte personalità di questo giovane.
Penso che nell'ora presente è gran cosa un modello di virtù, quale Pier Giorgio ci offre di sé. Egli passa nel silenzio e nel segreto, senza plauso, e al povero dona un pane e il suo cuore, all'orfano la carezza affettuosa, al vecchio il suo sorriso luminoso, all'infermo il balsamo della sua assistenza amorosa. Vi è dell'eroismo nell'apostolato di lui: quasi esce dalla famiglia dove potrebbe trovare tutti gli agi, la soddisfazione di tutti i piaceri, ed è alla dura scuola del nostro mondo che si forgia un'anima forte, che ha costanza, energia, coraggio, sacrificio; tutto quello insomma che è bello, degno, glorioso.
Dimentica le possibilità brillanti che l'alto censo gli permetterebbe e non teme di portare il suo singolare, evangelico spirito di rinuncia, di distacco, di povertà in una vita che, come l'uomo l'ha fatta, rassomiglia molto più a un festino selvaggio dove commensali ineducati si tolgono a vicenda le vivande invece di offrirsele.
Davanti alla sua opera generosa, alla sua calda e purissima fede, alla sua modestia e giovialità inalterabili c'è da restar commossi. Ed io, stasera, a contatto del suo ardente e comunicativo zelo per le opere cristiane, ho provato un'intima commozione.
(Angiolo Gambaro, pedagogo, storico e presbitero di Torino)

Testo: PierGiorgio Frassati - I giorni della sua vita, Luciana Frassati, Edizioni Studium-Roma, 1975