-
E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d’adempire un dovere preciso?
-
Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con mio grave incomodo, ma
quando si tratta della vita…
-
E quando vi siete presentato alla Chiesa, - disse, con accento ancor più grave,
Federigo, - per addossarvi codesto ministero, v’ha essa fatto sicurtà della
vita? V’ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni
ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v’ha detto forse che dove cominciasse il
pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v’ha espressamente detto il
contrario? Non v’ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non
sapevate voi che c’eran de’ violenti, a cui potrebbe dispiacer ciò che a voi
sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l’esempio, ad imitazione
di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a
esercitarne l’ufizio, mise forse per condizione d’aver salva la vita? E per salvarla,
per conservarla, dico, qualche giorno di più sulla terra, a spese della carità
e del dovere, c’era bisogno dell’unzione santa, dell’imposizion delle mani,
della grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa virtù, a insegnar
questa dottrina. Che dico? Oh vergogna! Il mondo stesso la rifiuta: il mondo fa
anch’esso le sue leggi , che prescrivono il male come il bene; ha il suo
vangelo anch’esso, un vangelo di superbia e d’odio; e non vuol che si dica che
l’amore della vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo
vuole; ed è ubbidito. E noi! Figli e annunziatori della promessa!
Don
Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli argomenti
come un pulcino negli artigli di un falco, che lo tengono sollevato in una regione
sconosciuta, in un’aria che non ha mai respirata. Vedendo che qualcosa
bisognava rispondere, disse, con una certa sommissione forzata:
-
Monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita non si deve contare, non
so cosa mi dire. …E’ un signore quello, con cui non si può né vincerla né
impattarla.
-
E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E se non
sapete questo, che cosa predicate? Di che siete maestro? Qual è la buona
novella che annunziate a’ poveri? Chi pretende che vinciate la forza con la
forza?
«Anche
questi santi son curiosi», pensava intanto don Abbondio.
-
Torno a dire, monsignore, - rispose dunque, - che avrò torto io… Il coraggio
uno non se lo può dare.
-
E perché dunque, potrei dirvi, vi siete impegnato in un ministero che v’impone
di stare in guerra con le passioni del secolo? Ma, come, vi dirò piuttosto,
come non pensate che, se in codesto ministero, comunque vi ci siate messo, v’è
necessario il coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, c’è Chi ve lo darà
infallibilmente, quando glielo chiediate? Credete voi che tutti que’ milioni di
martiri avessero naturalmente coraggio? …Tutti hanno avuto coraggio; perché il
coraggio era necessario, ed essi confidavano. Conoscendo la vostra debolezza e
i vostri doveri, avete voi pensato a prepararvi ai passi difficili a cui
potevate trovarvi, a cui vi siete trovato in effetto? Ah, se per tant’anni
d’ufizio pastorale, avete (e come non avreste?) amato il vostro gregge, se
avete riposto in esso il vostro cuore, le vostre cure, le vostre delizie, il
coraggio non doveva mancarvi al bisogno: l’amore è intrepido.
Alessandro
Manzoni, I promessi sposi,
Zanichelli, 1987.
Libero
estratto dal capitolo XXV.