giovedì 28 giugno 2012

Abbond'io


- Sotto pena della vita, m’hanno intimato di non fare quel matrimonio.

- E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d’adempire un dovere preciso?

- Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con mio grave incomodo, ma quando si tratta della vita…

- E quando vi siete presentato alla Chiesa, - disse, con accento ancor più grave, Federigo, - per addossarvi codesto ministero, v’ha essa fatto sicurtà della vita? V’ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v’ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v’ha espressamente detto il contrario? Non v’ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi che c’eran de’ violenti, a cui potrebbe dispiacer ciò che a voi sarebbe comandato? Quello da Cui abbiam la dottrina e l’esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne l’ufizio, mise forse per condizione d’aver salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno di più sulla terra, a spese della carità e del dovere, c’era bisogno dell’unzione santa, dell’imposizion delle mani, della grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa virtù, a insegnar questa dottrina. Che dico? Oh vergogna! Il mondo stesso la rifiuta: il mondo fa anch’esso le sue leggi , che prescrivono il male come il bene; ha il suo vangelo anch’esso, un vangelo di superbia e d’odio; e non vuol che si dica che l’amore della vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole; ed è ubbidito. E noi! Figli e annunziatori della promessa!

Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli argomenti come un pulcino negli artigli di un falco, che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta, in un’aria che non ha mai respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una certa sommissione forzata:

- Monsignore illustrissimo, avrò torto. Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. …E’ un signore quello, con cui non si può né vincerla né impattarla.

- E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? Di che siete maestro? Qual è la buona novella che annunziate a’ poveri? Chi pretende che vinciate la forza con la forza?

«Anche questi santi son curiosi», pensava intanto don Abbondio.

- Torno a dire, monsignore, - rispose dunque, - che avrò torto io… Il coraggio uno non se lo può dare.

- E perché dunque, potrei dirvi, vi siete impegnato in un ministero che v’impone di stare in guerra con le passioni del secolo? Ma, come, vi dirò piuttosto, come non pensate che, se in codesto ministero, comunque vi ci siate messo, v’è necessario il coraggio, per adempir le vostre obbligazioni, c’è Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo chiediate? Credete voi che tutti que’ milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? …Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario, ed essi confidavano. Conoscendo la vostra debolezza e i vostri doveri, avete voi pensato a prepararvi ai passi difficili a cui potevate trovarvi, a cui vi siete trovato in effetto? Ah, se per tant’anni d’ufizio pastorale, avete (e come non avreste?) amato il vostro gregge, se avete riposto in esso il vostro cuore, le vostre cure, le vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al bisogno: l’amore è intrepido.



Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Zanichelli, 1987.
Libero estratto dal capitolo XXV.

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