Caravaggio, I bari, 1594 circa. |
A
parte i casi di difesa e di scampo, la furberia è attitudine e direi qualità
dell’animo e modalità del contegno sicuramente infame: quand’anche il vocabolo
contenga e serbi una nota di ammirazione, sporca ammirazione per l’eroe della
furberia.
Nell’ambito
della serietà e della onestà civile, operosa costruzione di una società e di
una patria, deve ritenersi una frode: e così nell’ambito stesso del lavoro, del
commercio, della produzione dei beni. Un commercio è onesto quando non vende
articoli fasulli, non prepara alimenti adulterati: è furbo, e cioè disonesto
quando invece di condire il risotto con lo zafferano lo colora coi derivati
dell’anilina. La furberia è una evasione dai propri compiti e dai necessari
limiti mondiali che definiscono ogni attività: limiti che devono essere
ininterrottamente osservati nella loro connessione, nella loro necessaria
combinazione logica, e direi logico-matematica. La furberia cospira alla
cancellazione e alla distruzione della vita associata, sostituendo l’attività
storica con una pseudo-storia, o peggio, con una non-storia: in ogni caso con
una fabulazione turpe e ladresca che sfocia all’insensatezza e al
nulla-di-fatto. (…)
Anche
nella vita estetica, nella galanteria e nell’arte, furbo è quegli che crede di
poter utilmente indossare una camicia sporca per il giorno delle nozze, o per
il giorno della gloria.
Carlo Emilio Gadda, Furberia, in "Almanacco Letterario Bompiani”, 1959.
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