Il cristianesimo, bisogna farsene una ragione, ha a che fare con questo mondo. L’accusa alla Chiesa di occuparsi dei fatti del mondo è assurda, diceva il cardinale Newman, proprio perché la ragion d’essere della Chiesa è di «impicciarsi del mondo».
Non vorrei sorprendere Rina Gagliardi, che ieri da queste
colonne criticava la Chiesa cattolica accusandola «di essere in preda a una
sorta di “metafisica” di tipo materialistico», ma se uno mi accusa di essere
cristiano non posso prendermela a male.
E mi spiego, anche se potrà sembrare un paradosso.
Non è la prima volta che si taccia la Chiesa di eccessivo “materialismo”, la si
vorrebbe più “spirituale”. Ma l'alternativa è fasulla. Proprio perché crede
nell’esistenza dello spirito, dell’anima, di qualcosa non afferrabile dai
nostri sensi - di cui ritiene però ragionevole, anzi necessario, affermare
l'esistenza per rendere conto in modo esauriente della realtà - proprio per
questo il cristianesimo è sempre stato (e sempre sarà se vorrà conservare il
suo nome) profondamente materialista. Noi cristiani conosciamo lo spirito in
virtù del fatto che vediamo la materia, non siamo dualistici e meno che mai
manichei. L’uno senza l’altra (spirito e materia) nella specie umana non
sussistono. E non siamo neanche gnostici: il mondo, la materia, il corpo non
sono frutto di una caduta. Anzi, il corpo è il “tempio dello spirito”, non ci
viene naturale disprezzarlo. Siamo intrinsecamente portati a valorizzarlo.
Senza idolatrarlo. Anche perché gli idoli “hanno occhi e non vedono; hanno
orecchie e non sentono, hanno piedi e non camminano; hanno mani e non palpano”,
sono cioè, a dispetto del loro aspetto, molto poco materialisti.
Dirò di più, la vera novità del cristianesimo non è lo spirito, ma la carne.
Non è l’eternità, ma la storia, non la spiritualizzazione dell'uomo ma
l'incarnazione, l’ingresso di Dio nel tempo e nello spazio con un corpo umano.
Da qui deriva la valorizzazione del corpo, l’attenzione al corpo, la cura del corpo,
anche di quello imperfetto, contro l’idealizzazione del corpo dalla forma
perfetta che portava – essendo in ultima istanza un’idea spirituale – a
scartare chi alla nascita presentava gravi malformazioni o a esiliare fuori
dalle mura della città, e quindi del consesso civile, i lebbrosi. C'è una
solennità nella Chiesa, l'assunzione di Maria in cielo (15 agosto), che
significa esattamente questo.
È da questo amore per il corpo, che è sempre singolo, concreto, personale - san
Francesco d’Assisi non ha amato l’umanità, ha amato le singole persone che
incontrava - che sono nati gli ospedali e l’idea di cura anche per gli
“incurabili”. Questa l’origine del nome di certi reparti ospedalieri, come si
viene a sapere dalla storia di san Camillo de Lellis. Così è progredita la
medicina. Vale la pena curare un corpo putrescente proprio perché la persona
non è solo «tutto ciò che si configura come ammasso di cellule, di potenzialità
biologiche future o passate, di materia organica» (Gagliardi), ma perché
quell'“ammasso di cellule” è una persona.
Non voglio qui ripetere tutta la discussione sulla disponibilità della vita,
sulla vita cosciente, sulla sua dignità… che si è sviluppata intorno alla
persona di Eluana, ma solo tentare di spiegare il paradosso del “materialismo”
della Chiesa, che va di pari passo con quello della sua “mondanità”.
Il cristianesimo, bisogna farsene una ragione, ha a che fare con questo mondo.
L’accusa alla Chiesa di occuparsi dei fatti del mondo è assurda, diceva il
cardinale Newman, proprio perché la ragion d’essere della Chiesa è di
«impicciarsi del mondo». C’è un passo del Vangelo che parla del premio: «La
vita eterna e il centuplo quaggiù», le due cose - come l’anima e il corpo - non
sono separabili e non vedo quale persona psichicamente normale potrebbe trovare
interessante una così esigente proposta di vita come il cristianesimo se della
vita eterna (sulla quale possiamo solo fare congetture) non fosse dato qualche
anticipo sotto forma di soddisfazione intellettuale e affettiva (cioè integralmente
umana) già su questa terra, se cioè il cristianesimo non avesse qualcosa da
dire sulla concretezza quotidiana dell’esistenza (il che non c'entra nulla col
potere temporale della Chiesa che, per fortuna, è finito). Di spiritualismo e
di superstizione è già abbastanza pieno il mondo moderno perché ci si aggiunga
il nostro.
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