Se avessi scritto: “Venne tra la sua gente, ma i
suoi non lo hanno accolto” (cfr Gv 1,11), sarei stato meno efficace.
A uccidere i Cristiani cominciò l’Impero Romano, che pur tollerava tutti i culti; e lo fece non certo
perché fossero criminali, o perché non riconoscessero l’autorità imperiale.
Molti cristiani infatti militavano nell’esercito, con giuramento di fedeltà, e
secondo la mentalità del tempo erano pronti a difendere dai “barbari” il “limes”, cioè il confine dell’Impero.
È vero
che i persecutori facevano girare su di loro le più strane storie, come
l'accusa di sacrificare bambini e berne il sangue, ma queste erano dovute al
fatto che i “misteri” erano rivelati solo agli iniziati (e l’accusa del Sangue
derivava da una errata comprensione del sacrificio dell’Eucaristia, nel quale
sotto le apparenze del pane e del vino si offre il Sangue di Cristo).
Allora perché Roma si sentiva minacciata da loro?
Perchè i seguaci della nuova religione, pur servendo
fedelmente Roma, non le riconoscevano un valore assoluto e divino, che
riservavano solo a Cristo Dio.
In una parola i cristiani erano - e sono - coloro che
al di sopra di ogni valore mettono Gesù.
Ciò non li porta a cercare un altro mondo né a disprezzare le cose della vita
terrena, ma a non prenderne mai alcuna come totalizzante. In più ritengono che
il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, non possano essere stabiliti dagli
uomini, neanche con l’autorità che proviene dalla maggioranza, ma solo da Dio
attraverso la legge naturale.
Ieri
contestavano all’Imperatore di ritenersi un essere divino e di poter agire a
suo arbitrio, oggi parlano di “valori non negoziabili”. Vanno sempre oltre le soluzioni immediate (per
esempio “l’amore mi porta a convivere” o “col divorzio mi rifaccio una vita”).
Dicono
sempre: “Va bene però... bisogna guardare ciò che dice Dio”, in quanto Lui solo è l’Assoluto. Ed
è questo “però” che infastidisce, perché il
riferimento a Dio sembra impedire l’esercizio della libertà.
È facile
accorgersi, come notano gli storici delle persecuzioni romane, che per gli
imperatori, i quali ritenevano se stessi “divini” (facendosi così molto più
simili al modello dei tiranni orientali, e rinunciando di fatto a quello della
Roma Repubblicana guidata dal Senato), i Cristiani fossero una minaccia.
La persecuzione della Roma antica è per molti aspetti simile
alla cristianofobia che oggi pervade l’occidente. Essa qui in Europa non
sopprime materialmente, ma opera una discriminazione culturale che emargina la
fede cristiana e di fatto la uccide, presentandola come superata, vecchia e
nemica dell’uomo.
Guai se i
cristiani affermano che Dio ha dei diritti anche nella vita sociale (il Regno
Sociale di nostro Signore Gesù Cristo; cfr. enciclica “Quas
primas” di Pio XI), o difendono il matrimonio naturale con la
sua complementarietà di sessi.
Guai se
proclamano che l’amore maturo non è solo attrazione affettiva o pura ricerca di
piacere, ma impegno ufficialmente preso di mutua donazione e di procreazione.
Ancor
peggio se ricordano alla nostra società materialista che non basta riempire
l’uomo di cose, servizi, centri di benessere, sport o della demagogia dei
diritti, ma è indispensabile fargli intravedere un fine che vada al di là dei
suoi 80 anni di vita.
Negli
ultimi due secoli, l’uomo occidentale inebriato di ragione immanente, si è
convinto di essere “divino” cioè autore col suo pensiero e con la dittatura del
numero, della sua auto-salvezza. E quando uno è convinto di salvarsi da solo,
non ha più bisogno di un Salvatore. Chi gliene parla diventa anacronistico e a
lungo andare odioso.
Per i cristiani a Natale l’Unico Salvatore torna nel
mondo e, a costo di essere perseguitati, Lo vogliono accogliere.
Don Giorgio Bellei