domenica 25 novembre 2012

LA SOLENNITA' DI CRISTO RE



La Solennità di Cristo Re, che segna la fine dell’anno liturgico, nella Chiesa cattolica, nella Chiesa luterana ed in altre denominazioni cristiane, indica un ricordo particolare di Gesù Cristo visto come Re di tutto l'universo.
Con essa si vorrebbe sottolineare che la figura di Cristo rappresenta per i cattolici il Signore della storia e del tempo.
Questa festa fu introdotta da Pp Pio XI (Achille Ratti, 1922-1939), con l'enciclica Quas primas (“Sulla Regalità di Cristo”) dell'11 dicembre 1925.
Dice il Papa nell'Enciclica: « E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo ci sembra che nessun'altra cosa possa maggiormente giovare quanto l'istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. »

Nella forma ordinaria del rito romano la festa coincide con l'ultima domenica dell'anno liturgico  mentre nella forma straordinaria la festa coincide con l'ultima domenica di ottobre.
Anche nel rito ambrosiano, la solennità di Cristo Re corrisponde all'ultima domenica dell'anno liturgico, ma - poiché l'Avvento ambrosiano, con cui comincia l'anno liturgico, è più lungo di due settimane rispetto all'Avvento romano - essa si colloca all'inizio e non alla fine di novembre.

L'appellativo di Cristo Re ha origine da alcuni passi biblici : nel Nuovo Testamento Gesù viene dettoRe (βασιλεύς, basilèus), Re dei Giudei (βασιλεύς τῶν Ἰουδαίων, basilèus ton Iudàion), Re d'Israele (βασιλεύς Ἰσραήλ, basilèus Israèl), Re dei re (βασιλεύς βασιλέων, basilèus basilèon) per un totale di 35 volte, soprattutto nei racconti della passione, e Figlio di Davide (υἱός Δαυὶδ, uiòs Davìd) altre 12 volte.

Dall’omelia del Beato Giovanni Paolo II
- Solennità di Cristo Re -
(Basilica di San Pietro, 23 novembre 1980) :

« [...] Possiamo dire senz’altro che la regalità di Cristo, quale anche oggi noi celebriamo e meditiamo, deve esser sempre riferita all’evento, che si svolge su quel colle (calvario), ed esser compresa nel mistero salvifico, ivi operato da Cristo: dico l’evento ed il mistero della redenzione dell’uomo. Cristo Gesù - dobbiamo rilevare - si afferma re proprio nel momento in cui, tra i dolori e gli strazi della croce, tra le incomprensioni e le bestemmie degli astanti, agonizza e muore. Davvero, una regalità singolare è la sua, tale che solo l’occhio della fede può riconoscerla: Regnavit a ligno Deus”! (“il legno sul quale Cristo regnò”)
[...] Tuttavia, anche per mantenerci aderenti al contenuto dell’odierna liturgia, è opportuno insistere sulla funzione regale e concentrare il nostro sguardo, illuminato dalla fede, sulla figura di Cristo come Re e Signore.
Al riguardo, ovvia appare l’esclusione di qualsiasi riferimento di natura politica o temporalistica.
Alla formale domanda fattagli da Pilato: “Sei tu il re dei giudei? (Gv 18,33), Gesù risponde esplicitamente che il suo regno non è di questo mondo e, dinanzi all’insistenza del procuratore romano, afferma: “Tu lo dici: io sono re”, aggiungendo subito dopo: “Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37).
In tal modo, egli dichiara quale sia l’esatta dimensione della sua regalità e la sfera in cui si esercita: è la dimensione spirituale che comprende, in primo luogo, la verità da annunciare e da servire. Il suo regno, anche se comincia quaggiù sulla terra, nulla ha però di terreno e trascende ogni umana limitazione, proteso com’è verso la sua consumazione oltre il tempo, nell’infinità dell’eterno.»

(articolo preso da qui)

venerdì 23 novembre 2012

Per fortuna che c'è lo Zecchino


Evviva, ci sono ancora i bambini! Dopo l'assalto in tv di ragazzini adultizzati, pronti a intonare passionali canzoni con voci baritonali e piglio attoriale, rivedere allo Zecchino d'oro – uguali a se stessi dopo cinquantacinque anni – bambini allegri e spontanei, preparati ma non leziosi, ha restituito allo spettatore, magari disincantato ma comunque attento, il senso di una "normalità" che sovente manca nei programmi attuali. Perché i piccoli interpreti, dal volto sereno, gli abiti semplici, il piglio disinvolto di chi si sente a casa, hanno cantato con brio, sorriso divertiti, mostrato con impeccabile precisione la preparazione attenta che li ha sorretti e hanno fatto intuire, al di là del colorato palcoscenico dell'Antoniano di Bologna, insegnanti solleciti e famiglie equilibrate, che non ne hanno fatto dei divi. Anche le canzoni, costruite – come le altre che le hanno precedute in tanti anni – su misura per l'età verde e il messaggio gentile, hanno raccontato storie divertenti, con galline sgrammaticate e mozzarelle bianche, o fiabe gentili da buona notte. Dodici per giorno, fino a sabato: e una giuria di piccoli generosa ma attenta, in un ventaglio di richiami che fanno comprendere, questo sì, che il mondo dei bambini canterini si è allargato, ai cinque continenti e a nazionalità diverse. Veronica Maya e Pino Insegno, come è ormai tradizione, hanno guidato la schiera e la gara: con l'intervento di Amadeus, i saluti di Carla Fracci, la testimonianza dell'uso dei fondi raccolti un anno fa per costruire in Mozambico preziose case di accoglienza per madri malate. Ci sono ancora i bambini veri: e un soffio di aria fresca sembra sfiorare lo schermo con le loro faccette serene, in cui si rispecchiano, come già accadde per due generazioni, i loro padri e nonni, che cantarono di gatti e moscerini con la stessa impagabile immediatezza.

di Mirella Poggialini in Avvenire 22/11/2012 giorno di Santa Cecilia patrona dei musicisti e della musica

MA IN COSA SPERA IL CRISTIANO?


Quando andiamo a lavorare, speriamo di guadagnare bene, quando usciamo la sera, speriamo di divertirci, quando stiamo male, speriamo di guarire, anche quando viviamo la nostra sessualità abbiamo delle speranze.
Ma in cosa spera il cristiano?
In Dio e nella vita eterna!
Eppure in pochi si attentano a dirlo, a volte neanche io, quando mi sento dire che l’unica cosa che conta è la salute.
Non si afferma più che l’unica speranza duratura è la vita eterna perché un maestro del sospetto ha insinuato che i cristiani parlando di al di là, dimenticano l’al di qua e sperando nei beni futuri non lottano più contro le ingiustizie presenti. È questa la vecchia teoria della religione come oppio dei popoli del mio nemico Karl Marx.
A dire il vero qualche ragione questo signore ce l’ha, in quanto il cristianesimo è anche una esperienza religiosa storica ed è legato con la vicenda umana. Il cristiano non può ignorare i drammi e le sofferenze nei quali si trova l’umanità del suo tempo.
Se tuttavia questa dimensione, di per sé assolutamente corretta, viene assunta come l’elemento centrale del cristianesimo, allora la vita eterna non è più così importante. 
Ma è proprio necessario per il cristiano credere ed aspettare l’eternità? Non basta comportarsi bene e fare la giustizia qui sulla terra? Che bisogno c’è del Cielo?
Si potrebbe rispondere che  negare il futuro eterno è spesso ciò che porta alla disperazione, al suicidio e a volte in clinica per malattie mentali. L’uomo occidentale contemporaneo non soffre per la mancanza di beni materiali, ma per  quella di senso della vita. Ciò che dona serenità nel dolore, è l’attesa di una vita più grande.
In più se guardiamo il Nuovo Testamento ci accorgiamo che l’annuncio centrale, è che il Crocifisso è Risorto e che è andato avanti in una vita nuova ed eterna. Quella di Dio da cui per altro era venuto. Questo Crocifisso morto è stato visto vivo, corporalmente vivo, per cui la sua sequela, cioè il nostro andarGli dietro non sarà più interrotto da niente, nemmeno dalla morte.
Ecco perché la speranza del cristiano senza disprezzare le cose della terra, è costituita da Cristo Risorto.
Ispirati dai maestri del sospetto, dato che Marx ha avuto dei filosofi seguaci, alcuni affermano  che tutto ciò è illusione e non lo accettano, tuttavia non si può essere cristiani accontentandosi di essere buoni e di operare per la giustizia terrena, senza aspettare con desiderio vivo l’eternità cioè la vita col Risorto.
Per questo dicevo nello scritto precedente, che per il cattolico, non è innocuo, quando va a votare, scegliere  una qualsiasi visione di uomo basta che vi si garantisca la giustizia e la bontà.
Un umanesimo che neghi la dimensione eterna è un carcere di disperazione che chiude l’uomo solo nell’orizzonte dei suoi 80 anni di vita (i quali tra l’altro non sono mai completamente felici) ed in più lo spinge ad essere arbitro di se stesso commettendo le peggiori azioni di cui gli attentati alla vita e alla famiglia sono alcuni dei malefici esempi.

Don Giorgio Bellei, parroco Spirito Santo, Modena, articolo del 2006

giovedì 22 novembre 2012

"Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata" *

Chi si lascia prendere dalla paura, perde ogni fiducia e speranza: chiude gli occhi sul presente e si rifugia nel passato. Per lui il presente non è maturazione, ma uccisione del passato.

Ma è vano vivere nel sogno dei bei tempi d’oro che non ci sono più (né mai ci sono stati!).

Peggio ancora è voler fare del presente, addirittura del futuro, una riedizione del passato. Si vive in lotta perpetua con ciò che c’è, in un vaneggiamento che fa veder ciò che non c’è più né mai ci sarà.

In realtà c’è sempre e solo il presente. Ed è il tempo migliore che ci sia: è l’unico che c’è, il solo affidato alla nostra libertà. In esso possiamo assumere il passato come frutto e il futuro come seme, che a sua volta darà nuovo frutto per nuovo seme, garanzia di vita senza fine.

Se non accettiamo il presente, litighiamo contro di esso per rianimare un passato morto. E ci precludiamo il futuro, vita possibile del presente.

  
Silvano Fausti, Elogio del nostro tempo, Àncora, 2006.

* Luca 19, 44.

lunedì 19 novembre 2012

Professione solenne di Sorella Luisa

Di seguito si riporta l'omelia di Mons. Arcivescovo Antonio Lanfranchi (diocesi di Modena-Nonantola)pronunziata durante la professione solenne di Suor Luisa (Piccole Sorelle di Gesù Lavoratore) in Duomo a Modena.
Per gentile concessione di Mons. Arcivescovo e don Antenore (Policlinico): buona lettura!


Carissima sorella in Cristo, Luisa, carissime piccole sorelle di Gesù Lavoratore, carissimi tutti.

E' un evento di grazia quello che stiamo celebrando, un grande dono del Signore per sorella Luisa, per le piccole sorelle di Gesù Lavoratore, per la nostra Chiesa.
Oggi è l'anniversario della nascita al cielo di Don Galasso. E' il suo compleanno nella gloria del cielo. Ebbene, per usare le nostre categorie umane anche per parlare della vita del cielo, credo che la consacrazione di Luisa sia il regalo più bello che oggi Don Galasso riceve, ma pensa anche che suor Luisa sia il regalo più bello che Don Galasso, che l'ha guidata sui primi passi verso la consacrazione, fa a tutti noi.
Ringraziamo il Signore.
Vorrei lasciarmi guidare dalle letture bibliche che sono state proclamate per lasciarci stupire della grandezza e della bellezza del dono che il Signore ci fa.


"La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2,16).

Al principio, al fondamento in particolare di una consacrazione, sta quel sentirsi parlare al cuore di Gesù Cristo. La traduzione esatta del testo sarebbe: "le parlerò sul cuore". Parlare sul cuore è la comunicazione propria dell'uomo con la sua donna, della madre con il suo bambino; è una comunicazione connotata da un massimo di fiducia, di confidenza, di abbandono, di comunione.
"Sul cuore": quando le parole risuonano, più che sulla bocca e nelle orecchie, in tutti i sensi, e, coinvolgendo la totalità dell'essere corporeo, vanno dritte a deporsi nel profondo dell'anima. Sentirsi parlare sul cuore da Gesù Cristo: è Lui la risposta a ciò che il cuore cerca, è Lui il compimento del desiderio del proprio cuore.
"Desiderio" è quel sentimento che porta a uscire da sé, a intraprendere quella peregrinazione verso un luogo, un "tu" in cui trovare risposta alla sete di felicità, di pienezza di vita.
"Desiderio" è l'amore in quanto sente in sé la mancanza dell'amato; è l'amore che anela ad avere ciò che gli manca, che si mette in cammino per compiersi in qualcuno.
Sentirsi parlare sul cuore da Gesù Cristo vuol dire trovare in Lui quel "tu" che colma il desiderio e cominciare a rispondergli con tutte le corde del proprio cuore, con tutte le forze della propria persona.
Sentirsi parlare sul cuore: un'esperienza che segna per sempre.
E' l'esperienza della bellezza che fa irruzione nella vita.
Credo che quando una persona è chiamata a portare la sua esperienza intorno alla vocazione di consacrazione, si trovi sempre un pò a disagio, perché sì: potrà ricordare luoghi precisi, momenti precisi, persone, legati ad una manifestazione più chiara del disegno di Dio, ma "l'essenziale è sempre invisibile agli occhi".
E' Gesù Cristo che si manifesta in tutta l'attrazione della sua bellezza, del suo splendore.
La bellezza non si spiega, della bellezza ci si innamora.
E' questo incontro con la bellezza di Gesù Cristo che è stato determinante ed è determinante per la vita di Sorella Luisa.
L'esortazione apostolica "Vita consacrata" di Giovanni Paolo II sceglie proprio la "via pulchritudinis", la via della bellezza, come "cifra", chiave interpretativa della vita di consacrazione. Essa, ricordando l'episodio della Trasfigurazione e le parole di Pietro "Signore, è bello per noi restare qui!" (Mt 17, 4), afferma: "Queste parole dicono la tensione cristocentrica di tutta la vita cristiana. Esse, tuttavia, esprimono con particolare eloquenza il carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della vocazione alla vita consacrata: come è bello restare con Te, dedicarci a Te, concentrare in modo esclusivo la nostra esistenza a Te".
Chi ha ricevuto la grazia di questa speciale comunione di amore con Cristo, si sente come rapito dal suo fulgore: Egli è il "più bello fra i figli dell'uomo" (Sal 45,3), l'incomparabile.
Sant'Agostino lo canta così:
"Bello è Dio, Verbo presso Dio [...]. E' bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori, bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell'abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella Croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo.
Ascoltate il cantico con intelligenza, e la debolezza della carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza".


Carissimi, quando la bellezza di Gesù fa innamorare al punto da aprire nel cuore una ferita profonda allora troviamo vere le parole di S.Paolo, che abbiamo ascoltate e che suor Luisa sente sue: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo?...Nulla potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore". "Essere trovato in Lui": è il desiderio di chi ha incontrato realmente Cristo. "Essere trovato" in Lui in ogni sentimento, in ogni desiderio, in ogni azione.

Carissima sorella Luisa permettimi di dire che come donna consacrata avrai sempre il diritto e quindi il dovere di essere un "bel sacramento", cioè mistero di accoglienza che attraverso i segni rimanda a una pienezza più che umana, un rimando a Colui di cui sei divenuta sposa.
Possiamo applicare a te e alle tue consorelle la risposta data da Madre Teresa di Calcutta quando le chiesero: "Qual è l'ideale suo e delle suore?", Madre Teresa rispose: "Fare qualcosa di bello per Dio". E che cosa c'è di più bello per Dio dell'uomo e quindi di più importante che contribuire perché in ogni uomo sia riconosciuta e possa risplendere l'immagine di Dio impressa in lui?
Insieme alle tue consorelle hai già sperimentato la verità delle parole del Beato Giovanni Paolo II nell'enciclica "Mulieris dignitatem": "Nel piano della creazione e in quello della redenzione alla donna Dio ha affidato in modo speciale l'essere umano". La grazia della consacrazione ti sostenga e ti fortifichi in questa missione.
Il Vangelo delle Beatitudini è il progetto di vita indicato perché tutto questo possa realizzarsi.
Le Beatitudini sono la carta d'identità del cittadino del Regno di Dio, così come lo sogna Gesù Cristo, come Lui lo ha vissuto e come Lui vuole che noi lo incarniamo. Le Beatitudini sono lo specchio della sequela di Gesù, della qualità evangelica della vita. Esse ci dicono che la santità non è un fatto intimistico, quasi privato, avulso dalla concretezza della vita di ogni giorno, ma investe i pensieri, le azioni, le scelte, i progetti sia personali che comunitari.
Le beatitudini sono atteggiamenti che risanano l'umanità. Le beatitudini sono il manifesto della vita cristiana. Esse hanno come caratteristica quella di una verità e di una concretezza così radicali da diventare avvenimento storico. Non significano soltanto qualche cosa per chi ne fa esperienza, ma diventano avvenimento storico nel disegno della salvezza operata da Dio. Da una parte radicano nel rapporto con Dio, dall'altra con la realtà che Dio ci mette attorno come dimensione del suo progetto e quindi della nostra vocazione.
Non c'è spazio per poterle commentare.
Alcune parole però vorrei dirle sulla prima beatitudine, che in un certo senso le riassume tutte: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli".
Il povero in spirito è chi ha l'anima del povero, cioè chi non possiede se stesso, come Gesù che era tutto orientato al Padre, a compiere la sua volontà.
Far parte dei poveri del Signore vuol dire mettere a fondamento della propria vita la coscienza che tutto quello che ho, che sono, lo ho e lo sono da Dio.
Il povero di Dio ha la coscienza che, proprio perché povero e servo, può attendersi e può sperare ogni cosa dal suo Signore. Il rapporto del povero con il suo Dio non è un rapporto freddo e distaccato, ma pieno di fiducia, nella consapevolezza che questo Signore è ricco e potente e afferma la sua signoria donando.
La forza, l'ardire, il coraggio di Dio, diventano la forza, l'ardire, il coraggio del povero.
La povertà è un aspetto dell'agape, dell'amore. Più si ama, più si diventa poveri. Più si ama, più si condivide quello che si è e quello che si ha. Più si ama, più si riceve ogni persona e cosa come dono da donare.


Il povero del Signore sa vivere la compassione come accoglienza del dolore, sa cioè lasciarsi interrogare dalla sofferenza, perché, solo dopo essere stati toccati dal dolore, è possibile prendersi cura dell'altro e farsi prossimo. Il povero del Signore, quando è toccato dalla sofferenza, quando si fa incontro a persone provate, pur nella consapevolezza che il dolore è il luogo della solidarietà tra Dio e l'uomo, ha la capacità di vivere nel rispettoso silenzio di chi sa che la comprensione della sofferenza non è data a tutti e che non a tutti è concessa la grazia di uscire purificati da questa esperienza. Il dolore è come un crogiolo: può rendere la purezza del metallo ma può anche ridurre a scoria.



Il povero del Signore avverte la tenerezza di Dio per lui. Un Dio che si fa bambino è "folle" d'amore quanto un Dio crocifisso!

Il povero, avvolto da questa tenerezza, sente la gioia di essere del Signore, capisce il significato profondo della sua vita, vive il gaudio interiore. Il povero scopre la più profonda identità dell'uomo. Egli è soggetto e oggetto di misericordia. Egli esiste come "donato".
La Beata Vergine Maria, nostra Madre, l'umile e povera serva del Signore, che ha accolto, generato e donato al Gesù, ti protegga e ti accompagni nella tua missione di portare Gesù e il suo messaggio di salvezza a tutti quelli che incontrerai nelle varie condizioni e ambiti di vita.


Antonio Lanfranchi

venerdì 16 novembre 2012

Cittadinanze

‎"Non sai che la vita presente è un viaggio? Sei forse un cittadino di questa terra? 
No! Sei un viandante. 
Hai capito ciò che ti ho detto? 
Non sei un cittadino, ma un viandante e un pellegrino...
La cittadinanza è lassù. La realtà presente è un cammino"


Giovanni Crisostomo

mercoledì 14 novembre 2012

Ascoltami e parlami

Ascolta. Comprendi. Raccogli. Assimila. Metti in pratica. E' difficile, lo so, darmi ascolto quando la testa è piena di chiasso. E' necessario il silenzio, è necessario il deserto. Si ha terrore dell'aridità e del vuoto. Ma se tu sei fedele, se perseveri, lo sai, il tuo Diletto farà sentire la sua voce, il tuo cuore brucerà e questo ardore interiore ti darà la pace e la fecondità.

Più si moltiplicheranno, malgrado gli ostacoli, malgrado le ripugnanze o le tentazioni di viltà, i momenti in cui mi cerchi e mi trovi per ascoltarmi, più la mia risposta diventerà sensibile, più il mio Spirito ti animerà e ti suggerirà non soltanto ciò che ti chiedo di dire, ma ciò che ti offro di fare: davvero, allora, quello che dirai e farai sarà fruttuoso.

Guardami. Parlami. Ascoltami.
Io non sono soltanto testimone di verità, ma la Verità.
Io non sono soltanto canale di vita, ma la stessa Vita.
Io non sono soltanto raggio di luce, ma la stessa Luce. 
Chi comunica a me comunica alla Verità. Chi riceve me riceve la Vita. Chi segue me cammina su una strada di luce, e la luce che sono Io cresce in lui.

Sì, parlami spontaneamente di tutto ciò che ti preoccupa. Io lascio un largo spazio alla tua iniziativa. Non credere che ciò che ti riguarda mi possa lasciare indifferente poiché tu sei qualcosa di me. 

Chiamami in aiuto, con dolcezza, con calma, con amore. Non credere che io rimanga insensibile alle delicatezze dell'affetto.

Raccontami la tua giornata. Certo io già la conosco, ma mi piace sentirtela narrare,come alla madre piace il chicchierio del suo bambino al ritorno da scuola. Esponimi i tuoi desideri, i tuoi progetti, i tuoi fastidi, le tue difficoltà. Forse che non sono in grado di aiutarti a superarli?

Hai delle domande da farmi? Non esitare. 

Come per Maria Maddalena al mattino di Pasqua, il mio cuore ti chiama continuamente per nome; sono in ansia per la tua risposta. Io dico il tuo nome sottovoce e aspetto il tuo ecce adsum: <<eccomi>>, in testimonianza della tua attenzione e della tua disponibilità.

Chiamami. Amami. Lasciati invadere dalla certezza di essere amato con passione, così come sei, con tutti i tuoi limiti e le tue debolezze, per diventare quale io ti desidero, brace incandescente di carità divina. 

Silenzio dei demoni interiori che si chiamano l'orgoglio, l'istinto di potenza, lo spirito di dominio, lo spirito di aggressività, l'erotismo sotto qualsiasi forma che oscura lo spirito e indurisce il cuore.
Silenzio delle preoccupazioni secondarie, degli affanni indebiti, delle evasioni sterili.
Silenzio delle dispersioni inutili, della ricerca di se stesso, dei giudizi temerari.
(Gaston Courtois, Quando il Maestro parla al cuore
edizioni paoline, 1991)


Della felicità

A che insistere quindi su questo barocco concetto: la felicità degli Italiani p.e. che sarà? Essa è tutta consegnata al compito, all’azione, al divenire: così nelle famiglie, il domani: l’amore è un divenire: non si potrebbe eternamente baciare una donna, senza stancarsi: si bacia, e poi si prosegue. Figli, prole, futuro. Il concetto statico di felicità ripugna con tutte le manifestazioni della vita, individuali e collettive, fisiologiche, psicologiche, morali, ecc. – Esso è solo l’indice del grado onde il compito è adempiuto, non può essere un fine, ma è un’armonizzazione dei nostri atti e pensieri.
 
C. E. Gadda, La grama felicità, in Meditazione milanese, 1928, in Scritti vari e dispersi, Garzanti, 1993.

lunedì 12 novembre 2012

STABAT MATER


Perché in lui c'è la certezza della Resurrezione
ma ora che sta così male
se lo vuole sentir dire da sua Madre.
Davide Rondoni

mercoledì 7 novembre 2012

SUOR LUISA


coi migliori auguri di Parole che servono!

Sono suor Luisa delle Piccole Sorelle di Gesù Lavoratore. Il 10 novembre 2012 pronuncerò, in Duomo, i voti solenni alla presenza di Sua Eccellenza Monsignor Arcivescovo Antonio Lanfranchi, che li riceverà e benedirà. Quel giorno sarà, indubbiamente, il più importante della mia vita di donna consacrata, perché punto di arrivo e di partenza del mio percorso religioso.
E, mentre profondamente commossa ringrazio il Signore per il Suo immenso dono, quello di aver scelto proprio me, sua piccola creatura, per farlo conoscere e amare attraverso l’amore per i fratelli, non posso fare a meno di ripensare ai miei primi incerti passi, spesso barcollanti, nel tentativo di camminare sulle Sue orme che mi indicavano la vera via da seguire. Sono sempre stata una giovane “moderna”, e pur avendo da bambina ricevuto tutti i sacramenti, nell’adolescenza e prima giovinezza ero più attratta dalle cose del mondo che da quelle dello spirito. Voi sapete, quanto me, che cosa oggi il mondo propone ai giovani: distrazioni, svaghi, discoteche ed altro. Io, però, quando uscivo dalla discoteca non riuscivo mai a dire a me stessa che ero pienamente felice. L’insoddisfazione regnava costantemente nel mio intimo ed ero alla continua ricerca di Qualcuno, che già a mia insaputa era in me, ma che io, distratta da tante cose frivole,
non avevo ancora scoperto.
Poi, quell’inascoltato Qualcuno, Gesù, vinse la mia battaglia interiore, facendomi gustare il Suo Amore e sperimentare la Sua Misericordia. Sicuramente Maria, la nostra Mamma celeste, ha avuto una parte importantissima nel mio cammino di conversione, conducendomi a Gesù attraverso un’esperienza molto bella e forte. Avvenne che una persona amica mi invitò a partecipare ad un ritiro spirituale: tre giorni di riflessione, di ascolto, di preghiera e di vita fraterna. Là… Ho incontrato il Signore Gesù vivo e presente nell’Eucaristia durante l’Adorazione del Santissimo Sacramento. Da quell’incontro, in cui mi sono sentita toccata nel profondo del cuore, ho incominciato piano piano a cambiare la mia vita.
Ho capito che la mia vita avrebbe avuto un senso ed un valore solo se l’avessi vissuta per Gesù, comunicando poi questa gioia a tanti miei fratelli. La celebrazione dell’Eucaristia divenne il mio sole quotidiano e, compatibilmente con i miei turni di lavoro, facevo il possibile per non mancare mai all’appuntamento giornaliero con Gesù.
Poi, Lui, conducendomi per mano, mi ha fatto incontrare un direttore spirituale, don Galasso. Attraverso di lui ho avvicinato la comunità delle Piccole Sorelle di Gesù Lavoratore, scoprendo in loro un carisma che mi attraeva moltissimo: vivere coltivando dentro di me il Suo grido sulla Croce: “Ho sete”. Inoltre, nella comunità, mi sono sentita subito immersa in un’atmosfera di grande gioia e dono totale, incominciando la mia missione apostolica.
Con la Superiora, Madre Maria Grazia, ho intrapreso un percorso di ricerca sullo spirito della comunità, approfondendo lo specifico carisma delle Piccole Sorelle con il quale, alla fine del cammino, mi sono immediatamente trovata in sintonia. La nostra comunità, infatti, non ha porte, né confini: entra nelle case di persone sole, sofferenti, anziane; negli ospedali per alleviare dolori fisici e spirituali; nelle fabbriche operose dove l’uomo fatica per la propria famiglia; accoglie ragazzi e giovani nei campi estivi di S. Andrea Pelago, compreso il gruppo più caro alla Comunità, quello dell’Arcobaleno. E soprattutto spalanca le braccia ad ogni fratello che piange per confortarlo e sostenerlo. È una comunità che potrebbe chiamarsi amore. L’amore di Gesù che, attraverso noi sue piccole sorelle, si riversa sui fratelli della grande famiglia della Chiesa. Ed è con questa gioia diffusiva che ringrazio il Signore perché, per Sua Grazia e Misericordia, il 10 novembre dirò il mio Sì… per sempre esclamando convinta “Così, è bello essere suora!“.
Suor Luisa
da Nostro Tempo, Domenica 4 novembre 2012

domenica 4 novembre 2012

BARTOLO CATTAFI - L'OSSO


Avanti, sputa l'osso:
pulito, lucente, levigato,
senza frange di polpa,
l'immagine del vero,
ammettendo che in questo
unico osso avulso dal contesto
allignino chiariti, concentrati,
quesiti fin troppo capitali.
Credo che tu non possa
farcela; saresti
cenere nella fossa,
anima da qualche parte.
Bartolo Cattafi, Poesie 1943-1979, Mondadori, 2001

venerdì 2 novembre 2012

Dal libro «Sulla morte del fratello Satiro» di sant'Ambrogio, vescovo

Moriamo insieme a Cristo, per vivere con lui


Dobbiamo riconoscere che anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche san Paolo dice: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). E come ci si può trasformare completamente nel Cristo, che è spirito di vita, se non dopo la morte corporale?
Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una sincera disponibilità alla morte. Sarà per l'anima un utile allenamento alla liberazione dalle cupidigie sensuali, sarà un librarsi verso posizioni inaccessibili alle basse voglie animalesche, che tendono sempre a invischiare lo spirito. Così, accettando di esprimere già ora nella nostra vita il simbolo della morte, non subiremo poi la morte quale castigo. Infatti la legge della carne lotta contro la legge dello spirito e consegna l'anima stessa alla legge del peccato. Ma quale sarà il rimedio? Lo domandava già san Paolo, dandone anche la risposta: «Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (Rm 7,24). La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 7,25 ss.).
Abbiamo il medico, accettiamo la medicina. La nostra medicina è la grazia di Cristo, e il corpo mortale è il corpo nostro. Dunque andiamo esuli dal corpo per non andare esuli dal Cristo. Anche se siamo nel corpo cerchiamo di non seguire le voglie del corpo.
Non dobbiamo, è vero, rinnegare i legittimi diritti della natura, ma dobbiamo però dar sempre la preferenza ai doni della grazia.
Il mondo è stato redento con la morte di uno solo. Se Cristo non avesse voluto morire, poteva farlo. Invece egli non ritenne di dover fuggire la morte quasi fosse una debolezza, né ci avrebbe salvati meglio che con la morte. Pertanto la sua morte è la vita di tutti. Noi portiamo il sigillo della sua morte, quando preghiamo la annunziamo; offrendo il sacrificio la proclamiamo; la sua morte è vittoria, la sua morte è sacramento, la sua morte è l'annuale solennità del mondo.
E che cosa dire ancora della sua morte, mentre possiamo dimostrare con l'esempio divino che la morte sola ha conseguito l'immortalità e che la morte stessa si è redenta da sé? La morte allora, causa di salvezza universale, non è da piangere. La morte che il Figlio di Dio non disdegnò e non fuggì, non è da schivare.
A dire il vero, la morte non era insita nella natura, ma divenne connaturale solo dopo. Dio infatti non ha stabilito la morte da principio, ma la diede come rimedio. Fu per la condanna del primo peccato che cominciò la condizione miseranda del genere umano nella fatica continua, fra dolori e avversità. Ma si doveva porre fine a questi mali perché la morte restituisse quello che la vita aveva perduto, altrimenti, senza la grazia, l'immortalità sarebbe stata più di peso che di vantaggio.
L'anima nostra dovrà uscire dalle strettezze di questa vita, liberarsi delle pesantezze della materia e muovere verso le assemblee eterne.
Arrivarvi è proprio dei santi. Là canteremo a Dio quella lode che, come ci dice la lettura profetica, cantano i celesti sonatori d'arpa: «Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti. Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo. Tutte le genti verranno e si prostreranno dinanzi a te» (Ap 15,3-4).
L'anima dovrà uscire anche per contemplare le tue nozze, o Gesù, nelle quali, al canto gioioso di tutti, la sposa è accompagnata dalla terra al cielo, non più soggetta al mondo, ma unita allo spirito: «A te viene ogni mortale» (Sal 64,3).
Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26,4).

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (3, 1-3)

Henri Cartier-Bresson, Yugoslavia, 1965

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.
Salmo 22


Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.