lunedì 19 novembre 2012

Professione solenne di Sorella Luisa

Di seguito si riporta l'omelia di Mons. Arcivescovo Antonio Lanfranchi (diocesi di Modena-Nonantola)pronunziata durante la professione solenne di Suor Luisa (Piccole Sorelle di Gesù Lavoratore) in Duomo a Modena.
Per gentile concessione di Mons. Arcivescovo e don Antenore (Policlinico): buona lettura!


Carissima sorella in Cristo, Luisa, carissime piccole sorelle di Gesù Lavoratore, carissimi tutti.

E' un evento di grazia quello che stiamo celebrando, un grande dono del Signore per sorella Luisa, per le piccole sorelle di Gesù Lavoratore, per la nostra Chiesa.
Oggi è l'anniversario della nascita al cielo di Don Galasso. E' il suo compleanno nella gloria del cielo. Ebbene, per usare le nostre categorie umane anche per parlare della vita del cielo, credo che la consacrazione di Luisa sia il regalo più bello che oggi Don Galasso riceve, ma pensa anche che suor Luisa sia il regalo più bello che Don Galasso, che l'ha guidata sui primi passi verso la consacrazione, fa a tutti noi.
Ringraziamo il Signore.
Vorrei lasciarmi guidare dalle letture bibliche che sono state proclamate per lasciarci stupire della grandezza e della bellezza del dono che il Signore ci fa.


"La attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2,16).

Al principio, al fondamento in particolare di una consacrazione, sta quel sentirsi parlare al cuore di Gesù Cristo. La traduzione esatta del testo sarebbe: "le parlerò sul cuore". Parlare sul cuore è la comunicazione propria dell'uomo con la sua donna, della madre con il suo bambino; è una comunicazione connotata da un massimo di fiducia, di confidenza, di abbandono, di comunione.
"Sul cuore": quando le parole risuonano, più che sulla bocca e nelle orecchie, in tutti i sensi, e, coinvolgendo la totalità dell'essere corporeo, vanno dritte a deporsi nel profondo dell'anima. Sentirsi parlare sul cuore da Gesù Cristo: è Lui la risposta a ciò che il cuore cerca, è Lui il compimento del desiderio del proprio cuore.
"Desiderio" è quel sentimento che porta a uscire da sé, a intraprendere quella peregrinazione verso un luogo, un "tu" in cui trovare risposta alla sete di felicità, di pienezza di vita.
"Desiderio" è l'amore in quanto sente in sé la mancanza dell'amato; è l'amore che anela ad avere ciò che gli manca, che si mette in cammino per compiersi in qualcuno.
Sentirsi parlare sul cuore da Gesù Cristo vuol dire trovare in Lui quel "tu" che colma il desiderio e cominciare a rispondergli con tutte le corde del proprio cuore, con tutte le forze della propria persona.
Sentirsi parlare sul cuore: un'esperienza che segna per sempre.
E' l'esperienza della bellezza che fa irruzione nella vita.
Credo che quando una persona è chiamata a portare la sua esperienza intorno alla vocazione di consacrazione, si trovi sempre un pò a disagio, perché sì: potrà ricordare luoghi precisi, momenti precisi, persone, legati ad una manifestazione più chiara del disegno di Dio, ma "l'essenziale è sempre invisibile agli occhi".
E' Gesù Cristo che si manifesta in tutta l'attrazione della sua bellezza, del suo splendore.
La bellezza non si spiega, della bellezza ci si innamora.
E' questo incontro con la bellezza di Gesù Cristo che è stato determinante ed è determinante per la vita di Sorella Luisa.
L'esortazione apostolica "Vita consacrata" di Giovanni Paolo II sceglie proprio la "via pulchritudinis", la via della bellezza, come "cifra", chiave interpretativa della vita di consacrazione. Essa, ricordando l'episodio della Trasfigurazione e le parole di Pietro "Signore, è bello per noi restare qui!" (Mt 17, 4), afferma: "Queste parole dicono la tensione cristocentrica di tutta la vita cristiana. Esse, tuttavia, esprimono con particolare eloquenza il carattere totalizzante che costituisce il dinamismo profondo della vocazione alla vita consacrata: come è bello restare con Te, dedicarci a Te, concentrare in modo esclusivo la nostra esistenza a Te".
Chi ha ricevuto la grazia di questa speciale comunione di amore con Cristo, si sente come rapito dal suo fulgore: Egli è il "più bello fra i figli dell'uomo" (Sal 45,3), l'incomparabile.
Sant'Agostino lo canta così:
"Bello è Dio, Verbo presso Dio [...]. E' bello in cielo, bello in terra; bello nel seno, bello nelle braccia dei genitori, bello nei miracoli, bello nei supplizi; bello nell'abbandonare la vita e bello nel riprenderla; bello nella Croce, bello nel sepolcro, bello nel cielo.
Ascoltate il cantico con intelligenza, e la debolezza della carne non distolga i vostri occhi dallo splendore della sua bellezza".


Carissimi, quando la bellezza di Gesù fa innamorare al punto da aprire nel cuore una ferita profonda allora troviamo vere le parole di S.Paolo, che abbiamo ascoltate e che suor Luisa sente sue: "Chi ci separerà dall'amore di Cristo?...Nulla potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore". "Essere trovato in Lui": è il desiderio di chi ha incontrato realmente Cristo. "Essere trovato" in Lui in ogni sentimento, in ogni desiderio, in ogni azione.

Carissima sorella Luisa permettimi di dire che come donna consacrata avrai sempre il diritto e quindi il dovere di essere un "bel sacramento", cioè mistero di accoglienza che attraverso i segni rimanda a una pienezza più che umana, un rimando a Colui di cui sei divenuta sposa.
Possiamo applicare a te e alle tue consorelle la risposta data da Madre Teresa di Calcutta quando le chiesero: "Qual è l'ideale suo e delle suore?", Madre Teresa rispose: "Fare qualcosa di bello per Dio". E che cosa c'è di più bello per Dio dell'uomo e quindi di più importante che contribuire perché in ogni uomo sia riconosciuta e possa risplendere l'immagine di Dio impressa in lui?
Insieme alle tue consorelle hai già sperimentato la verità delle parole del Beato Giovanni Paolo II nell'enciclica "Mulieris dignitatem": "Nel piano della creazione e in quello della redenzione alla donna Dio ha affidato in modo speciale l'essere umano". La grazia della consacrazione ti sostenga e ti fortifichi in questa missione.
Il Vangelo delle Beatitudini è il progetto di vita indicato perché tutto questo possa realizzarsi.
Le Beatitudini sono la carta d'identità del cittadino del Regno di Dio, così come lo sogna Gesù Cristo, come Lui lo ha vissuto e come Lui vuole che noi lo incarniamo. Le Beatitudini sono lo specchio della sequela di Gesù, della qualità evangelica della vita. Esse ci dicono che la santità non è un fatto intimistico, quasi privato, avulso dalla concretezza della vita di ogni giorno, ma investe i pensieri, le azioni, le scelte, i progetti sia personali che comunitari.
Le beatitudini sono atteggiamenti che risanano l'umanità. Le beatitudini sono il manifesto della vita cristiana. Esse hanno come caratteristica quella di una verità e di una concretezza così radicali da diventare avvenimento storico. Non significano soltanto qualche cosa per chi ne fa esperienza, ma diventano avvenimento storico nel disegno della salvezza operata da Dio. Da una parte radicano nel rapporto con Dio, dall'altra con la realtà che Dio ci mette attorno come dimensione del suo progetto e quindi della nostra vocazione.
Non c'è spazio per poterle commentare.
Alcune parole però vorrei dirle sulla prima beatitudine, che in un certo senso le riassume tutte: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli".
Il povero in spirito è chi ha l'anima del povero, cioè chi non possiede se stesso, come Gesù che era tutto orientato al Padre, a compiere la sua volontà.
Far parte dei poveri del Signore vuol dire mettere a fondamento della propria vita la coscienza che tutto quello che ho, che sono, lo ho e lo sono da Dio.
Il povero di Dio ha la coscienza che, proprio perché povero e servo, può attendersi e può sperare ogni cosa dal suo Signore. Il rapporto del povero con il suo Dio non è un rapporto freddo e distaccato, ma pieno di fiducia, nella consapevolezza che questo Signore è ricco e potente e afferma la sua signoria donando.
La forza, l'ardire, il coraggio di Dio, diventano la forza, l'ardire, il coraggio del povero.
La povertà è un aspetto dell'agape, dell'amore. Più si ama, più si diventa poveri. Più si ama, più si condivide quello che si è e quello che si ha. Più si ama, più si riceve ogni persona e cosa come dono da donare.


Il povero del Signore sa vivere la compassione come accoglienza del dolore, sa cioè lasciarsi interrogare dalla sofferenza, perché, solo dopo essere stati toccati dal dolore, è possibile prendersi cura dell'altro e farsi prossimo. Il povero del Signore, quando è toccato dalla sofferenza, quando si fa incontro a persone provate, pur nella consapevolezza che il dolore è il luogo della solidarietà tra Dio e l'uomo, ha la capacità di vivere nel rispettoso silenzio di chi sa che la comprensione della sofferenza non è data a tutti e che non a tutti è concessa la grazia di uscire purificati da questa esperienza. Il dolore è come un crogiolo: può rendere la purezza del metallo ma può anche ridurre a scoria.



Il povero del Signore avverte la tenerezza di Dio per lui. Un Dio che si fa bambino è "folle" d'amore quanto un Dio crocifisso!

Il povero, avvolto da questa tenerezza, sente la gioia di essere del Signore, capisce il significato profondo della sua vita, vive il gaudio interiore. Il povero scopre la più profonda identità dell'uomo. Egli è soggetto e oggetto di misericordia. Egli esiste come "donato".
La Beata Vergine Maria, nostra Madre, l'umile e povera serva del Signore, che ha accolto, generato e donato al Gesù, ti protegga e ti accompagni nella tua missione di portare Gesù e il suo messaggio di salvezza a tutti quelli che incontrerai nelle varie condizioni e ambiti di vita.


Antonio Lanfranchi

Nessun commento:

Posta un commento